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Centro di Accoglienza Padre Nostro - ETS
Fondato dal Beato Giuseppe Puglisi il 16 luglio 1991. Eretto in ente morale con D.M. del 22.09.1999
Centro di Accoglienza Padre Nostro Onlus

Don Puglisi, la frontiera della legalità

Il ricordo dei tanti giovani che frequentano il Centro Padre Nostro che il sacerdote fondò a Palermo nove mesi prima di essere assassinato Dieci anni fa la mafia uccideva il parroco di Brancaccio perché temeva le sue battaglie contro il degrado

data articolo 16/09/2003 autore L’Unità categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo de L’Unità
Articolo de L’Unità
"C'è chi potrebbe dire: non dovrebbe pensarci lo Stato? Intanto pensiamoci noi. Così il nostro giro diventa protesta". E come se fosse qui don Pino Puglisi nel decimo anniversario del suo martirio. Parole le sue che sembrano uscire dalle labbra di tanti giovani che interrottamente a uno a uno scendono e salgano le strette scale che dal portone conducono su al primo piano dove c'è il Centro Padre Nostro, fondato da don Pino appena nove mesi prima d'essere ammazzato dalla mafia. Don Puglisi è stato ricordato domenica sera con una fiaccolata silenziosa per le strade di Brancaccio che ha raggiunto la piazza dove è stato assassinato. E ieri in molti hanno inviato messaggi per sottolineare il suo sacrificio, dal cardinale emerito Salvatore Pappalardo all'onorevole Giuseppe Lumia, capogruppo dei Ds nella Commissione parlamentare antimafia. Nel centro di Brancaccio, in quelle stanze piccole, modeste negli arredi, campeggia un manifesto che riproduce una poesia di Mario Luzi scritta l'anno scorso per ricordare il piccolo prete di Brancaccio: "Cos'è una vita/ una vita nella vita/ immensa, incommensurabile./ La mia ha perso senso/ dal non essere più, dall'essermi/ stata tolta…./ ma non era mia,/ era del mondo, era della vita./ Signore, la mia vita/ in te, presso di te e misteriosamente/ tua e mia/ pure tra gli uomini/ i poveri, i reietti/ tra i quali sono stato/ a faticare, questo almeno resti:/ gli uomini d'onore non sono neanche uomini,/ sono meno che uomini, si degradano da soli/ a rango di animali/ aiutali, a liberarsi dell'indegnità/ ma aiuta prima le loro vittime./ Aiuta, ti prego, colore che li aiutano". Mafia, una parola che non compare però nell'annullo del francobollo per ricordare perché "il francobollo è una cosa che resta nel tempo mentre la parola mafia resta". Questa è la straordinaria motivazione offerta da un funzionario dell'Ente al direttore del Centro, Maurizio Artale, per spiegare la loro scelta. Ma mafia è anche una parola che definisce una realtà rimasta sconosciuta, o , forse, ignorata dalla Chiesa. Da quella Chiesa che, come spiega padre Nino Fasullo, hanno lasciato solo don Puglisi perché impreparata, colpevolmente distratta. Per questo il sacrificio di padre Puglisi ha costruito uno spartiacque tra ciò che la Chiesa era prima e ciò che è divenuta dopo. "Padre Puglisi maestro di libertà e di fedeltà al Vangelo" ha in qualche modo costretto la Chiesa a prendere coscienza dell'esistenza della mafia e a riconoscerla in quanto per la prima volta ne era stata colpita. Puglisi è stato ucciso dieci anni fa. Lo Stato, a Brancaccio, non c'è ancora a dare segni evidenti, concreti della sua presenza, della sua autorevolezza, della sua efficienza, della sua forza, a dire: da oggi questa è terra nostra. Tanti da qui sono passati per lasciare il segno di promesse rimaste disattese. Anche nelle migliori intenzioni la politica ha tempi lunghi, troppo lunghi, mentre la mafia ha tempi brevi, a volte fulminanti, dice con ferma serenità il direttore del Centro Padre Nostro. Però c'è, esiste, qualcosa che, forse, è molto di più. Sono i segni evidenti dell'eredità lasciata da padre Puglisi. Un auditorium dove qualche topo passeggia indisturbato e dove inverno il freddo è pungente ma dove ugualmente i giovani si riuniscono per confrontarsi in nome di quei valori come solidarietà, giustizia, che hanno animato la vita di Puglisi. E anche le coscienze degli emarginati, dei poveri, sono state contaminate. Ci sono famiglie disoccupate alle quali ogni giorno consegniamo la spesa, racconta Maurizio Artale, accade che quando uno di loro riesce ad avere un impiego, seppure precario, le mogli si presentano qui e ci dicono: per ora noi non abbiamo più bisogno della spesa, datela a chi ne ha più bisogno di noi. A Brancaccio, quartiere dove dal prossimo condono edilizio lo Stato non ricaverà nulla perché qui chi ha costruito abusivamente, attende l'arrivo di un nuovo condono che condonerà quello che non ha denunciato nel precedente condono in quanto costruire ovunque e dovunque è un diritto. A Brancaccio, quartiere dove ancora due passaggi a livello condizionano l'entrata e l'uscita dell'auto, esiste un'altra linea di demarcazione violenta e pressante, invisibile agli occhi: la mafia. Quella mafia che continua indisturbata a vivere. Che brucia la macchina di un obiettore di coscienza che ha scelto il Centro Padre Nostro. Che, di notte, attende dietro l'angolo il passaggio di un altro obiettore per riempirlo di botte. Segnali chiari di sofferenza verso chi non si piega e continua a camminare a testa alta come faceva padre Puglisi. Oggi parroco di Brancaccio è padre Mario Golesano. Divenuto consulente in Regione per i servizi sociali su richiesta del presidente Cuffaro indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, fatto che per molti, anche all'interno della stessa comunità ecclesiale, avrebbe dovuto inda hrefo coerentemente a rinunciare all'incarico. Ma padre Golesano si limita a dire che Cuffaro, come tutti, è innocente fino al giudizio definitivo. E resta al suo posto in Regione. Anche per questo quel ritratto di padre Puglisi che campeggia sulla facciata della parrocchia di San Gaetano, simbolo do libertà e di riscatto, di coerenza tra Vangelo e vita, continua a illuminare le forti contraddizioni della Chiesa, delle istituzioni e della società. Sandra Amurri IL PROCESSO Quattro condanne per il delitto 18 e 10 anni per gli esecutori Il processo per l'assassinio di don Puglisi si è concluso con sentenze di condanna definitiva. Gli esecutori materiali: Gaspare Spatuzza, condannato a 18 anni. Salvatore Grigoli, condannato a 10 anni. Quest'ultimo fu da subito reo confesso e collaboratore di giustizia, ebbe anche una conversione religiosa e chiese di essere ricevuto dal Papa. mandanti: i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. I Graviano erano all'epoca i boss di Brancaccio, e prima ancora dell'uccisione di Don Puglisi erano stati gli autori dell'attentato alla chiesa del quartiere ad alta densità mafiosa della primavera del 1993. Per l'autobomba contro la chiesa i Graviano furono condannati all'ergastolo. Puglisi era stato mandato a Brancaccio dal cardinale Pappalardo nella stagione in cui la Chiesa palermitana si determinò a denunciare Cosa Nostra come tale e non soltanto i singoli delitti. Il lavoro di don Puglisi si concentrò sui giovani e nella battaglia contro il degrado ambientale. Chiedeva alle istituzioni scuole e campi sportivi per i giovani da sottrarre al reclutamento mafioso. Spronava i parrocchiani a combattere per i propri diritti e a non considerarli favori elargiti dal sistema politico-mafioso. Dai verbali del processo è emerso che proprio la battaglia per l'educazione e l'emancipazione dei bambini spaventò i boss che si vedevano sottrarre i futuri soldati dell'esercito mafioso. Don Puglisi sapeva di andare incontro alla morte ma nessuno, né politici né gerarchie ecclesiastiche capirono il pericolo mortale che incombeva sul parroco. IL RICORDO Il Sacrificio di un prete scomodo Celebriamo il decimo anniversario del sacrificio del prete rosso. O-se preferite-il sacrificio del prete matto. Perché bisognava essere rossi o matti per sfidare apertamente la mafia in quel Brancaccio, per sbarrare la strada a quei piccoli pusher o grandi trafficanti, per sporgere denuncia in questura, per bussare alle porte della prefettura, per sbattere in faccia ai politici della borgata fra le più mafiose di Palermo verità tanto scomode quanto sgradevoli, per tallonar quotidianamente i rappresentanti delle autorità affinché non dimenticassero Brancaccio, i suoi giovani, i suoi disoccupati, i suoi problemi, i suoi senza casa, i suoi abitanti dei tuguri, insomma il suo degrado. Il prete che si fa ammazzare come si fanno ammazzare i giudici. Il prete che si fa ammazzare come si fanno ammazzare i poliziotti. Il prete che si fa ammazzare come si fanno ammazzare i carabinieri. Il prete che si fa ammazzare come in Sicilia, qualche volta, si sono lasciati ammazzare certi uomini politici che interpretavano lo spirito adamantino una concezione della politica che fosse esclusivamente servizio. Che prete è, allora, un prete del genere, che ad ingrossare le fila degli illusi? Certamente atipico. "Fatti offizi di parrino": stupendo proverbio siciliano che così possiamo tradurre: fatti gli uffici da prete occupati della liturgia. E salta fuori in discussioni particolarmente animate, quando qualcuno degli interlocutori, agli occhi degli altri deborda dai compiti d'istituto, dal ruolo sociale dall'identità professionale. Equivale a un fulminante: fatti gli affari tuoi o anche non uscire dal seminato. Naturalmente, e risulta davvero stucchevole doverlo precisare, don Pino Puglisi non era ne rosso, ne matto, ne antropologicamente diverso dal resto della razza umana e, meno che mai, dal resto del suo clero e del suo gregge. Ma così va la vita. Si vive e si lotta. Ci si crede e non ci si arrende. Spesso si paga di persona e si muore. Capita dalle nostre parti. Poi, magari, 10 anni dopo, può anche capitare che le poste decidano di farti un bel francobollo alla memoria ma i bozzettisti pensano a un francobollo dimezzato, un francobollo che per ricordare padre Puglisi omette - pare sia troppo lunga - la parola "Mafia". Si muore allora in un modo - si viene abbattuti con un colpo di pistola calibro 38 - ma si viene ricordati in un altro modo, e allora l'unica chiave di lettura di certi grandi delitti di Sicilia diventa l'essere stata, la vittima di quei delitti, o rossa o matta. Perché se si omette quella parola troppo lunga, che volete che la gente capisca? Che volete che la gente ricordi? La storia di questo prete coraggioso è stata raccontata mille volte. E ogni parola che noi diciamo -per ricordare Sassi, la struggente canzone di Gino Paoli -" E' stata detta mille volte". Se ne sono tratti, da questa storia, bei libri, come quello della collega Bianca Stancanelli, " A testa alta" (Einaudi), a suo tempo recensito dall'Unità, ma non è l'unico; se ne sono tratti sceneggiati televisivi; questa sera RAI 3 manderà in onda uno speciale; ne farà un film il regista Roberto Faenza, che appena iniziò i sopralluoghi a Brancaccio, nel giugno scorso, ebbe i suoi primi grattacapi per responsabilità dei malavitosi della zona. Per il loro impegno sociale, per la loro vicinanza agli oppressi e agli esclusi, per la fede incontaminata nel vangelo, per la coraggiosa sfida ai potenti di ogni latitudine, più che per un singolo sermone i preti sono stati ammazzati quasi sempre in quel ribollente calderone di violenze che è spesso stata l'america latina. O magari nell'Africa centrale, non certo nella civilissima Europa, nelle grandi città fiori all'occhiello del vecchio, buono e saggio, sistema capitalistico. Padre Puglisi no. E' stato assassinato a pochi metri dal centro sociale Padre Nostro, quasi ai bordi di quella ferrovia-a unico binario - che collega Palermo a Messina, città dove gli scienziati del centro destra vedrebbero bene il ponte, ignoranti del fatto che dovrebbe convivere con quell'unico binario…. Padre Puglisi è stato assassinato da mandanti ricchi miliardari, ben pasciuti, ma timorosi di perdere - a causa di un prete rompi ciglioni -ricchezza privilegi e prebende. E ricaschiamo sempre -ce ne rendiamo conto -in questa parola che nell'Italia di oggi rischia di diventare evanescente, impalpabile come un borotalco: mandanti. Di mandanti di grandi delitti e delle grandi staggi, il presidente di Forza Italia della commissione antimafia, Roberto Centaro, non vuole sentire parlare e ha avuto persino l'improntitudine di proclamarlo a chiare lettere, forse i componenti di centro sinistra in commissione antimafia dovrebbero pesantemente riaprire la questione: ci permettiamo il garbato suggerimento visto che a nostro giudizio un tema del genere non può essere ridotto alla polemica da un colpo e via, essendo quella dell'individuazione dei mandanti questione capitale ai fini della lotta alla mafia insomma, in che stagione cade il decennale del sacrificio del prete rosso o matto che dir si voglia? Cade in una stagione in cui i familiari delle vittime ­penso a Rita Borsellino e Maria Falcone - vengono svillaneggiati, sbeffeggiati, irrisi, da uno Schifani di turno, il cui volto, quello si, ci ricorda quello della "matta" con i campanellini nel mazzo delle carte da gioco… cade in una stagione in cui la meglio legislazione sull'argomento, prodotta da Berlusconi e compagnia di giro, va tutto in direzione degli interessi della mafia e dei mafiosi. Cade in una stagione in cui persino la procura palermitana è dilaniata dallo scontro fra giudici rossi e giudici matti da una parte e giudici moderati dall'altra, quelli, per intenderci, che hanno deciso di procedere ventre a terra nell'illusione di passare indenni fra le forche caudine erette da Berlusconi e dalla premiata compagnia di giro, timorosi, timorosissimi, quando si tratta di affrontare il nodo mafia e politica. Insomma: è la lotta alla mafia ai tempo ­come li abbiamo chiamati recentemente sull'Unità -di Johnny Stecchino. In conclusione: oggi ricordiamo un sacrificio alto. Quello di un prete. Ma come dicevamo all'inizio, spesso si muore in un modo e si viene ricordato in un altro. Quel francobollo per ricordare la morte di padre Puglisi per mano di mafia, a qualcuno poteva anche sembrare un esigua foglia di fico per nascondere tante vergogne, tante responsabilità, tanti silenzi passati e recenti. Bene: hanno anche avuto da ridire su quella foglia di fico. Non andava bene neanche una foglia di fico su cui campeggiasse la parola: mafia. Saverio Lodato

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