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Sul luogo del delitto, in fondo a corso dei Mille, centinaia di spettatori nonostante il caldo. Tutti parenti nel baglio Baiamonte "Per noi era solo un bravo ragazzo"

data articolo 31/08/2003 autore La Repubblica categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo de La Repubblica
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Centinaia di persone sfidano la canicola per assistere allo spettacolo della morte in via Milo Guggino, un budello attaccato a Corso dei Mille. Spiano il corpo irrigidito di Antonio Pelicane, nell'abitacolo della Smart blu; da dietro le transenne, affacciati ai balconi. La violenza torna a Brancaccio a pochi giorni dal decimo anniversario del martirio di don Pino pugliesi, ucciso dal killer Salvatore Grigoli la sera del 15 settembre del 1993. A essere precisi il delitto di ieri è avvenuto a Guarnaschelli, un sub quartiere di Settecannoli-Brancaccio. "Non abbiamo niente contro Brancaccio-dice Nino, in prima fila dietro le transenne-ma qui siamo per i fatti nostri. Noi chiamamo questo luogo baglio Baimonte, perché gli abitanti ci chiamano quasi tutti così. Siamo tutti imparentati. E forse per questo la zona è stata sempre tranquilla". "Proprio così­aggiunge Lorenzo, cugino di secondo grado della vittima-Anche la madre di Antonio Pelicane si chiama Baiomonti. Trentatré anni fa mia zia, che si trovava in una situazione difficile, voleva abortire, ma mia madre l'ha dissuasa. L'ha convinta a portare in fondo la gravidanza. Ed è nato Antonio. Ma la sfortuna ha voluto che facesse questa mala fine. Non ci spieghiamo come sia potuto accadere, per tutti noi era una brava persona". L'uomo racconta che suo figlio era transitato con la bicicletta pochi minuti prima della sparatoria e solo per puro caso non ha assistito al delitto. Poi vuole correre dalla madre cardiopatica che vive nel vicolo, ma gli agenti non lo fanno passare. Danno il via libera solo allo zio dell'ucciso che arriva pedalando. Trafelato scende dalla biciclette se la mette sulle spalle per fendere la folla. Brancaccio, a poche centinaia di metri, è deserta. Gli ottomila abitanti, sembrano spariti di colpo. Tapparelle abbassate nei palazzi per sbarrare l'ingresso allo scirocco e per strada pochi adulti e tanti ragazzi. Tre giovani riparano le vespe sul marciapiede di un hard discount de via Scaglione. Giuseppe 15 anni, Francesco 18 e Antonio 20, dicono che nel quartiere ci vivono meravigliosamente bene. Antonio si rammarica solo che non ci sia la possibilità di fare un provino serio per il calcio "magari per una squadra di fuori". Arriva accigliato il padre di Francesco e intima ai tre di non parlare e ci invita ad andare via. Poco distante quattro ventenni sono seduti sopra un muretto a godersi un po' di venticello che spezza la cappa di afa. "Qui viviamo troppo di serie A2, esordisce Pasquale. Quando gli chiediamo che ricordo hanno di padre Puglisi, Nino taglia corto: ma chi è? Non ne ho mai sentito parlare. E in ogni caso non ci interessa". Gli altri annuiscono. Ivana Musicò, 24 anni, e la madre Maria, escono cariche di sporte dal supermarket. "Don Pino era una persona troppo buona per stare su questa terra", dice la figlia. "Diciamo per stare in questo quartiere", precisa la madre. Riprende Ivana: "Parlando troppo del bene, purtroppo, ha incontrato il male. Per la gente onesta è stata una perdita inaspettata e grande". Orsola, 12 anni, seconda media nell'istituto intitolata al prete assassinato, assiste alla conversazione e vuole dire la sua: "Non ho conosciuto don Pino, ma mi ha battezzata lui e ne sono fiera. I miei genitori mi parlano di lui e mi dicono che è stato ammazzato dalla mafia. Voglio ricordarlo sempre". Nella sala giochi di via Scaglione, due bambini, Fabrizio di 8 anni e Rocco di 9, giocano a carambola. Imbucano le palle con una perizia da veterani. "E che altro possiamo fare nel quartiere", dicono. Il titolare Giuseppe, 31 anni, commenta: L'ambiente è quello che è. Non c'è sostanza. Pochi divertimenti, calcetto e video giochi, e il lavoro che manca. Siamo tutti in crisi". Davanti alla sala un branco di ragazzi è appollaiato su un muretto di tufo che delimita uno spiazzo angusto dove giocano a pallone. L'unica porta in ferro è appoggiata ai mattoni di tufo. Un genitore li esorta a scendere e Michele, Andrea, Donio e Marco si avvicinano all'unisono: "Ci mancano i campi, i completino, le scarpe e perfino i palloni". Tre adulti seduti all'ombra non hanno memoria di don Pino, almeno così affermano, ma dicono che con l'acqua quest'anno va meglio, arriva un giorno si e un giorno no e tanto basta. Don Mario Golesano, successore di don Puglisi, è andato in pellegrinaggio con un centinaio di parrocchiani alla madonna delle Lacrime di Siracusa. In sacrestia la statua di Cristo morente e Alessandro 34 anni, collaboratore del parroco. "Qualcosa è cambiato qui dopo la morte di don Pino-dice-la presenza della mafia non è asfissiante come una volta. Ma purtroppo la mentalità è sempre la stessa. C'è gente che potrebbe cambiare e non vuole gente che vorrebbe e non può. Troppo difficile tirare avanti in un quartiere dove la disoccupazione tocca picchi del 50 per cento. E poi le istituzioni sono lontane. Ad esempio con il Centro Padre Nostro abbiamo realizzato un campetto in via San Ciro, ma è rimasto senza acqua e senza spogliatoi. Da anni aspettiamo un'area per fare un oratorio ma non ci viene concessa. Sarebbe la salvezza per centinaia di ragazzini. Dopo la morte di padre Puglisi­aggiunge Maurizio Artale, responsabile con Antonio Di Liberto del Centro padre Nostro­qualcosa si è mosso. Certi spazi sono stati concessi, come il campo di calcetto, la biblioteca, l'auditorium che aspetta di essere ristrutturato. Ma non basta. Aspettiamo che il Comune si decida a intervenire nelle periferie in modo serio e non più con iniziative sporadiche senza alcun progetto complessivo. Queste cose le ribadiremo per l'anniversario. Lunedì c'è un incontro per mettere a punto il programma, che prevede, fiaccolata, riti liturgici, spettacoli mostre e momenti di riflessione". Lavoriamo molto con i ragazzini-continua-tra i cinquanta che partecipano al doposcuola e alle altre attività del centro ogni tanto c'è qualcuno che finisce nei guai per qualche furto. E per noi è un dramma. La delinquenza giovanile qui è diffusa ed è difficile tenere i ragazzi al riparo dalle cattive compagnie.Per molti poi i piccoli furti sono strumenti di sopravvivenza. Lo so che molti qui vogliono rimuovere il ricordo di don Pino. Lui per primo e dopo tutti quelli che lo abbiamo seguito sul suo cammino, abbiamo buttato una pietra nello stagno e il fango è venuto a galla. E tutto questo a molti, anche a chi non è di sentimenti mafiosi, non piace. Preferirebbero vivere tranquilli facendo finta di non vedere, di non sentire e di non sapere. Aldo D'Angelo, 42 anni, attraversa a passo lesto la piazza di San Gaetano che con coincide con lo stradale di attraversamento per le auto. Prima dice che ha solo un ricordo vago di don Pino, poi quando capisce che siamo giornalisti si sbilancia: "Era una persona in gamba-dice-pensava all'avvenire dei giovani. Io ho due figli e nessuno pensa a loro". L'anziano Pepino scopa la soglia di casa in via Fichidindia. "Vivo qui da 73 anni-dice-e non è mai cambiato niente. Né cambierà in futuro. Con don Pino o senza. E con qualsiasi altra persona". Tano Gullo

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