sabato 16 settembre 2017
Il presidente della Cei ricorda il beato: «Non si convive con la mafia»
Il cardinale Bassetti e l’arcivescovo Lorefice durante la Messa nella memoria di don Puglisi (Petyx)

Il cardinale Bassetti e l’arcivescovo Lorefice durante la Messa nella memoria di don Puglisi (Petyx)

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«Padre autorevole», prete che «abitava il territorio», «martire della mitezza». Tre colpi di pennello per tratteggiare la figura di don Pino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993 a Palermo e proclamato beato quattro anni fa. Il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, parla quando è ormai calato il buio sulla calda e limpida giornata che ha accompagnato il 24° anniversario dell’assassinio del parroco di Brancaccio. È emozionato. Si trova esattamente nel luogo in cui il killer mise fine a quella vita dedicata ai giovani che «erano il suo tesoro. Un tesoro da custodire e soprattutto da preservare dagli inganni suadenti e dalle scorciatoie promesse dai malavitosi» sottolinea.

Ci sono migliaia di persone a piazza Anita Garibaldi davanti all’abitazione di “3P”, com’era conosciuto il sacerdote, che ora è diventata una casamuseo con arredi, libri, indumenti del sacerdote e accoglie tantissimi pellegrini. Una lunga giornata di memoria e preghiera, cominciata alle 10 con circa duemila ragazzi delle scuole assiepati in Cattedrale per portare un fiore giallo sulla sua tomba a forma di spiga. Arrivano i messaggi del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e di quello del Senato, Pietro Grasso. Poi nel pomeriggio una celebrazione eucaristica, sempre in Cattedrale, presieduta dall’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, che di Puglisi fu amico e collaboratore al Centro regionale vocazionale. «La vita di don Pino è stata quella di un pastore che si prende cura degli altri e che ha tanto amato da donare la sua vita – dice l’arcivescovo durante l’omelia – Una storia di riscatto dal male, che incarna la sua pastorale nella vita concreta delle gente, da Godrano a Brancaccio, attraverso tutta la sua poliedrica attività in diocesi».

A un particolare ricordo personale si lascia andare il cardinale Bassetti, perché «don Pino è stato un volto a me caro e persino familiare. L’ho conosciuto personalmente fra gli anni Settanta e Ottanta. Ero rettore del Seminario di Firenze e responsabile del Centro regionale per le vocazioni. Anche don Pino era impegnato in Seminario e nel Centro vocazionale. Ci vedevamo agli incontri nazionali. Ne ricordo ancora il suo sorriso, il suo sguardo, la sua dedizione totale al Signore. Una persona apparentemente fragile. Ma già allora si percepiva che era un gigante della fede. Percorreva altre strade rispetto a tutti noi». E va al cuore della testimonianza del sacerdote che fondò il Centro Padre Nostro, lottò con alcuni abitanti di Brancaccio per l’affermazione di diritti essenziali per il quartiere, prese a cuore soprattutto la vita dei giovani. Un prete che «abitava le periferie, viveva le frontiere… Faceva paura alla mafia perché predicava l’amore e smascherava ciò che si celava dietro al codice d’onore mafioso» aggiunge Bassetti. Bassetti chiede un rinnovato senso di responsabilità dei cristiani.

«Chi è un discepolo di Cristo, chi è figlio della luce è tenuto a denunciare le tenebre, quindi le organizzazioni criminali. Denunciarle con le parole, con i gesti, con la sua testimonianza – dice senza mezzi termini – ma anche rivolgendosi alle forze dell’ordine e alla magistratura che in questo territorio, come nel resto dell’Italia, hanno pagato anche con il sangue il loro impegno contro l’illegalità». Nessuna intenzione di trasformare il beato Puglisi in un “santino”. C’è una importante eredità spirituale, dunque, ma anche una preziosa eredità civile: «Con la mafia non si convive. Fra la mafia e il Vangelo non può esserci alcuna convivenza o tantomeno connivenza. Non può esserci alcun contatto né alcun deprecabile inchino».

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