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CHIUSI PER CRISI. Rette non pagate: a Palermo la casa famiglia Al Bayt si indebita

data articolo 30/01/2013 autore Redattore Sociale categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo di redattore Sociale
Articolo di redattore Sociale
Dopo la chiusura per debiti della casa famiglia “La tartaruga”, il centro Padre Nostro ci riprova con la casa Al Bayt. Ma il comune continua a non versare regolarmente le rette. Maurizio Artale: “E’ il sistema che va cambiato” PALERMO – La casa famiglia Al Bayit, nata l’anno scorso sulle ‘macerie’ della casa famiglia La tartaruga, che nel 2010 è stata costretta a chiudere a causa di 400 mila euro di debiti che vantava con il comune, adesso rischia di fare la stessa fine se il sistema di pagamento delle rette da parte dell’amministrazione comunale non cambia. A dirlo, con la determinazione e il coraggio di sempre, è il presidente del centro Padre Nostro, Maurizio Artale. “Se il comune continua a pagare ogni 150 giorni quando invece c’è una legge che dice che bisogna saldare entro 30 giorni – dice -, è chiaro che i debiti salgono alle stelle e andiamo avanti soltanto con i prestiti bancari e con il pagamento lento e dilazionato dei fornitori che ci capiscono e scelgono di aiutarci”. “Il sistema va cambiato completamente perché, non appena ci si indebita – sottolinea ancora Artale -, non si riescono nemmeno a pagare alcune tasse e il comune richiede il Durc sottolineando che salderà solo dopo il documento. Tutto questo diventa un circolo vizioso che logora lentamente gli operatori e i gestori di realtà come le case famiglia di cui la società ha un fortissimo bisogno”. “Il nostro fondatore, p. Pino Puglisi, ci ha insegnato ad avere il coraggio di andare avanti nonostante tutto – incalza Artale – e, quindi, sebbene, negli ultimi due anni abbiamo sostenuto 20 mila euro di spese legali, abbiamo la coscienza a posto. La casa famiglia La tartaruga che vantava 32 utenti seguiti da 25 operatori ha chiuso strozzata dai debiti a causa delle rette non pagate regolarmente dal comune – racconta Artale -. Solo dopo un anno e mezzo e tanti decreti ingiuntivi siamo riusciti ad avere finalmente il saldo complessivo che ci spettava”. “Ricordo con rammarico che nonostante la situazione nostra fosse comune a molte altre associazioni ed enti gestori delle comunità alloggio – racconta -, nessuno ha avuto il coraggio di reagire al sistema. Soltanto noi abbiamo deposto in procura due denunce nei confronti del comune. La prima per abbandono di minori e l’altra per la scoperta che le somme per pagare le rette, nei tempi previsti per legge, c’erano ma sono state utilizzate per spese fuori bilancio destinate ad altre finalità”.“Naturalmente abbiamo pagato il prezzo di tutto questo essendo stati più volte boicottati dall’amministrazione precedente: esclusi dalla partecipazione a gare e da tante altre iniziative come dall’assegnazione di beni confiscati e così via”. Oggi la casa Al Bayt è una comunità di tipo familiare, finalizzata all'accoglienza temporanea di donne, sole o con minori, che necessitino di un luogo sicuro, in cui sottrarsi a situazioni di maltrattamento e violenza; un posto protetto nel quale intraprendere un percorso di allontanamento emotivo e materiale dalle relazioni violente, recuperando le proprie capacità progettuali. La capienza della casa prevede l’accoglienza di 14 persone, tra donne e minori, che vivono in situazione di disagio nel proprio contesto di appartenenza, per cui si renda necessario l'allontanamento momentaneo dallo stesso. “Tale struttura si inserisce all'interno del progetto complessivo del nostro Centro di Accoglienza Padre Nostro – aggiunge -. che, da diversi anni, è impegnato a tutelare i diritti umani, promuovendo l'autonomia e le risorse degli individui. E' un servizio che mira a garantire, in un completo sistema di sicurezza sociale, un efficace progetto di cambiamento, ivi compreso la promozione dell'inserimento lavorativo delle donne nei casi in cui le stesse si trovino in situazione di dipendenza economica. Nel caso dei minori, l'intervento mira a creare una rete di accoglienza e sostegno finalizzata all'elaborazione e al superamento del disagio, legato a situazioni di violenza, subita o assistita”. “Ci auguriamo che qualcosa prima o poi cambi – conclude Maurizio Artale -. Con il tempo e l’esperienza abbiamo preso la consapevolezza che nessuno è intoccabile e tanto meno le istituzioni preposte a garantire i diritti fondamentali di donne, bambini, immigrati e tutte le persone più fragili – aggiunge ancora -. Se a cambiare non è il sistema, possono cambiare le persone al governo ma non serve a niente e a pagare sono sempre i più deboli. In questo momento siamo nelle condizioni identiche a prima in cui però abbiamo un sindaco e degli assessori che rincorrendo sempre le situazioni di emergenza non si mettono attorno ad un tavolo per cambiare radicalmente le cose”. (set) © Copyright Redattore Sociale

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