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I detenuti "archeologi" in Sicilia investono nel turismo

Corriere Sociale

data articolo 04/05/2014 autore Corriere Sociale categoria articolo ARTICOLI
 
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Carcere e archeologia Palermo
Carcere e archeologia Palermo

PALERMO – Un patrimonio storico e artistico restituito alla città grazie al lavoro di tre detenuti. Una storia di riqualificazione ambientale e integrazione che riaccende i riflettori sull’efficacia e l’opportunità del reinserimento sociale. I protagonisti sono Ivan, Theodore e Giuseppe. Un tunisino, un colombiano e un’italiano. Anzi, un palermitano. Insieme, giorno dopo giorno, con l’aiuto dei volontari del centro d’accoglienza Padre Nostro hanno riportato alla luce l’area archeologica di Schiavoni, a Palermo. Otto chilometri di terra abbandonata a se stessa che dalla chiesa di San Giorgio dei Genovesi si estende fino a Piazza Tavola Tonda.
Carcere porte aperte La bonifica dell’area, che la soprintendenza ai beni culturali ha affidato alla Padre Nostro in comodato d’uso gratuito per cinque anni, si è appena conclusa. I lavori erano iniziati nel marzo scorso. Per un anno interno i tre detenuti hanno lavorato ogni giorno. Dalle dieci alle diciotto. E ogni giorno, finito il lavoro, sono sempre rientrati nel carcere Pagliarelli. «Seppur con mille difficoltà, alla fine siamo riusciti a mettere insieme i piccoli pezzi di puzzle in questo grande quadro. E’ stato un bel successo. Ma c’è ancora molto da fare» spiega Maurizio Artale, presidente del centro Padre Nostro di Padre Puglisi. L’ambizione del progetto è già implicita nel titolo: “Al Bab”. Che in arabo significa appunto ‘porta aperta’. «Non é un caso che le chiavi della struttura siano affidate proprio ai detenuti in esecuzione penale esterna»,precisa Artale.
Una passerella da 15mila euro Ora che l’area è stata ripulita, non resta che renderla di nuovo fruibile alla città e ai turisti. Per farlo sono però necessari altri interventi. Come ad esempio la messa in sicurezza della passerella centrale. C’è, esiste. Ma affinché i visitatori possano percorrerla sono necessari 15mila euro.«Abbiamo fatto tutto con le nostre risorse. Per questo progetto non ci è arrivato neppure un centesimo di fondi pubblici. Se riuscissimo almeno a ottenere quaranta o cinquanta euro al giorno per ogni detenuto in affidamento, be’, saremmo già in grado di risolvere parecchi problemi», aggiunge Artale. Basti pensare che un detenuto in carcere costa all’amministrazione più di 200 euro. Ma ad oggi la legge non permette di sostenere gli inserimenti nelle comunità di accoglienza, cui non possono essere destinate risorse pubbliche. Archeologia, birra e gelati «Ora il nostro obiettivo è di avviare nuove attività attorno all’area archeologica.
Vorremmo creare due laboratori: uno per la produzione di gelato, l’altro per la birra. Pensiamo di formare e coinvolgere venti detenuti, dieci uomini e dieci donne», racconta il presidente del centro Padre Nostro. Per finanziare questa operazione saranno presentati nuovi progetti alla Cassa delle ammende, alla Regione Sicilia e alla Fondazione con il Sud. Un’iniziativa, questa, che vede il coinvolgimento di oltre 25 partner tra enti, organizzazioni e amministrazioni. «Formeremo i detenuti – conclude Artale – Quelli con lunghe pene da scontare lavorerebbero all’interno dei laboratori. Gli altri, una volta formati, garantirebbero il tournover. Così avranno nuove competenze da spendere nel mondo del lavoro una volta usciti dal carcere. E’ quindi più che mai necessario istituzionalizzare i percorsi di accoglienza e le misure alternative alla pena».

Gianluca Testa

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