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Centro di Accoglienza Padre Nostro - ETS
Fondato dal Beato Giuseppe Puglisi il 16 luglio 1991. Eretto in ente morale con D.M. del 22.09.1999
Centro di Accoglienza Padre Nostro Onlus

Centro Padre Nostro sotto assedio, ma i volontari non mollano

Articolo pubblicato da La Gazzetta Palermitana. All'interno anche la risposta del Deputato europeo, Caterina Chinnici

data articolo 21/10/2014 autore La Gazzetta palermitana categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo de La Gazzetta Palermitana
Articolo de La Gazzetta Palermitana

Che cosa sta succedendo al Centro Padre Nostro? Da due settimane la comunità fondata da Pino Puglisi è praticamente sotto assedio. Lo dimostra l’escalation di violenze e intimidazioni culminate con la misteriosa telefonata anonima arrivata al centralino della sede giovedì sera, a pochi giorni dalla messa in ricordo del Beato Fondatore del Centro; quel “caldo, molto caldo”, che la voce al telefono prevedeva quella sera al Teatro Brancaccio, inaugurato dal Centro nel 2013, aveva allarmato gli inquirenti che avevano fatto in modo di tenere nascosta la notizia per più tempo possibile. Si inizia con il portone d’ingresso quasi scassinato a calci, il 10 ottobre. Il giorno prima, il ritrovamento di amianto scaricato nello spazio dell’ex Mulino del Sale e di proprietà del Centro di Accoglienza Padre Nostro; poco dopo, la responsabile Mariangela D’Aleo trova le stanze dell’amministrazione e del Presidente messe a soqquadro da qualcuno salito dalla veranda, un furto di circa 300 euro trovati a colpo sicuro nel cassetto della scrivania. “C’è preoccupazione tra i volontari.” – ammette Maurizio Artale, presidente della struttura – “Mentre prima uscivi dal Centro e, senza accorgerti nemmeno delle luci spente nel quartiere, ti mettevi in macchina e andavi a casa, ora ti viene in mente che c’è qualcuno che ce l’ha con te. Si respira tensione. Ma loro vogliono proprio a questo, creare la strategia della tensione, diffondere la paura. Noi siamo saremo sempre qua: abbiamo fatto una scelta di vita, qui non è come fare parte di una normale associazione, questo Centro è stato fondato dal Beato Puglisi e noi siamo in linea con i suoi intenti. Se ci sono dei problemi li affronteremo.” Quell’isola felice che si reggeva sulle spalle di una comunità di uomini di buona volontà, al centro di un quartiere difficile, oggi è sconquassata da una sequenza inquietante di eventi in rapida successione tra loro. Ed è quasi la diretta conseguenza, verrebbe da dire, per avere affrontato a muso duro la mafia dello status quo, sprovincializzando gli abitanti e tirandoli fuori dalla periferia dove li hanno reclusi. Da 21 anni, da quando Padre Pino Puglisi lo fondò, il Centro ha rappresentato lo spartiacque tra bene e male a Brancaccio, e con una miriade di attività – dal doposcuola, al centro aggregativo per minori e per anziani (giorno 22 ottobre ne inaugureranno un altro in via Hazon), dallo sportello per chi ha bisogno di avere un colloquio con gli avvocati, al centro assistenza legale, il centro di sostegno psicologico, l’assistenza a domicilio ai portatori di handicap – gli eredi del sogno di don Pino, hanno portato l’alternativa, la concorrenza in un ambiente dove prima vigeva il monopolio dei pidocchi. Adesso quantomeno si può scegliere da che parte stare, come i 26 detenuti in esecuzione penale accolti nella struttura, gente con alle spalle reati che prevedono una pena inferiore ai 3 anni che il giudice può affidare ad associazioni di volontariato come questa, per scontare il resto della pena. “Gli diamo le chiavi della sede, li facciamo sentire a casa loro, ce li affidano e noi li inseriamo.” – continua Maurizio Artale – “Poi qualcuno che finisce di scontare la pena resta, e facciamo in modo di trovargli un lavoro. Il carcere è solo una fabbrica di delinquenti, questa è l’unica strada percorribile per queste persone, ed è proprio quella che dà fastidio ai capibastone del quartiere.” “Da una parte abbiamo una comunità che ci chiede aiuto per continuare a dare servizi. Poi c’è un’altra Brancaccio, quella che denigra le persone che vengono qua, come se si venissero a vendere per due lire. Ed è proprio per accreditarsi agli occhi di questi capibastone che qualcuno tradisce la nostra fiducia.” Qualcuno lo salvi, qualcun altro rimane dov’è, ma sempre per volontà sua. La scelta comunque si fa, e in questo spartiacque c’è chi sceglie la strada della riabilitazione e chi quella dei pidocchi di quartiere. Artale in questo non ha dubbi. “E’ stato uno dei detenuti, è uno che frequenta il Centro. Lo metto per iscritto, sapeva come muoversi e dove cercare i soldi. Non è gente che viene da fuori”. Poi c’è il mistero del cantiere che non decolla: l’ex Mulino del Sale, proprio alle spalle della statua di San Gaetano e di Pino Puglisi, tra via Conte Federico e via San Ciro. Uno spazio di proprietà del Centro Padre padre puglisi 2Nostro, per un progetto che prevede la costruzione di un centro diurno aggregativo per anziani, una struttura edificabile in 6 mesi, come indicato dal contratto con la ditta appaltatrice. Ma si sanno come vanno questi lavori: un giorno manca un bullone, un altro bisogna rifare il ponteggio, e temporeggia oggi e temporeggia domani, il cantiere è aperto da 4 anni senza avere ancora concluso niente. Da un anno si è fermato tutto. Nessuno sa perchè. Passano i mesi, e nello spazio antistante il Mulino si crea una discarica abusiva. Poi un giorno qualcuno avverte i responsabili che nella notte ignoti hanno scaricato rifiuti tossici, amianto. Subito parte la denuncia e l’area viene posta sotto sequestro. Altri blocchi. “La stessa ditta che ha vinto l’appalto è anomala.” – riflette Artale – “Voglio dire, tu ditta vinci l’appalto, e non chiedi mai un acconto? non chiedi mai il S.A.L. (stato di avanzamento lavori) per ricevere i soldi? L’imprenditore della ditta appaltatrice avanza tutti i soldi dalla Regione e ancora oggi non li ha chiesti. È strano. Possibile che abbia subito minacce? Poi mi chiedo: può essere che forse questo mulino non si deve aggiustare?” “Il problema è che qui ci lasciano soli. Abbiamo ricevuto solidarietà da parte di tutti, ma alle parole non sono seguiti mai i fatti. C’è una volontà affinchè Brancaccio rimanga quella che è? Solitamente escludo che ci sia chi architetta l’ordine delle cose, ma ancora peggio è quando l’architetto manca e tutto viene lasciato al caso. Evidentemente manca l’interesse. Perchè se Brancaccio è un territorio difficile, se a Brancaccio c’è stato un uomo che si è fatto ammazzare per portare la bandierina della legalità un centimetro più avanti, tutto quello che riguarda Brancaccio dovrebbe essere sempre attenzionato! Ad esempio, c’è uno che vuole la licenza per aprire un supermercato? Bene, se a Palermo ci vogliono due anni, a Brancaccio gliela devono dare in una settimana, perchè vuol dire che quall’uomo, per aprire un supermercato, vuole fare un iter legale.” “Vogliamo che si crei l’attenzione sul quartiere e dire: ve lo dovete scrivere nell’agenda! come Renzi ha fatto la lista delle priorità nei primi 100 giorni di governo, la priorità assoluta oggi vogliamo che si chiami Brancaccio.” E quelli del Centro Padre Nostro lo sanno bene come la vogliono la nuova Brancaccio, ci vivono, l’hanno sognata: in sinergia con le altre forze impegnate sul territorio, come la II Circoscrizione del Comune di Palermo, la Chiesa di San Gaetano, hanno elaborato un progetto originale. Si chiama “Brancaccio 2.0 – La Brancaccio del Terzo millennio”. Un piano ambizioso che prevede un totale restyling del quartiere, “una nuova Brancaccio” che vada dal mare fino alla Chiesa di San Ciro, sul monte Grifone, attraverso un’opera di riqualificazione e valorizzazione dei siti presenti all’interno della II Circoscrizione del Comune di Palermo, come ad esempio i Lavatoi di Via Germanese, via Conte Federico e via Giuseppe Cirrincione; i Bagni Virzì, lo Stand Florio, il Ponte dell’Ammiraglio, il Castello di Maredolce. E si fa fatica ad accettare che proprio quel Palazzo è ancora in piedi, bramato dai palazzinari che l’avrebbero volentieri abbattuto, solo per grazia di quel Totuccio Contorno che nella sala reale che fu di Giafar, figlio di Yusuf, emiro di Palermo dal 998 al 1019, aveva allestito il suo rifugio – superlatitante com’era in fuga da poliziotti e killer – sfregiandola e soppalcandola per farne alcova, persino la finestra aveva allargato con le sue stesse mani per avvistare l’arrivo dei nemici. O come la via Falsomiele: prima non c’era una costruzione, come ci spiega ancora Artale, solo le ville dei mafiosi dove si facevano i summit. Quando hanno arrestato tutti, via libera. “Paradossalmente la mafia è l’unico ente che riesce anche a regolarizzare le costruzioni abusive.” Il Progetto, oltretutto, offrirebbe l’opportunità di consolidare azioni di intervento sinergico già da tempo portate avanti da diverse agenzie, istituzionali e non, con l’obiettivo comune di contrastare la cultura dell’illegalità, la dispersione scolastica e la bassa alfabetizzazione registrata su tutto il territorio. “Io e mio fratello l’abbiamo anche consegnato nelle mani di Renzi” – aggiunge Franco Puglisi, fratello di don Pino – “Gliel’abbiamo consegnato il 15 settembre, ora aspettiamo fine novembre, dopodichè chiameremo il segretario e chiederemo che fine ha fatto il nostro progetto.” “L’abbiamo dato anche alla Chinnici” – insiste Maurizio Artale – “che è anche stata eletta al Parlamento Europeo. Non sappiamo che fine abbia fatto. Eppure aveva promesso che l’avrebbe sostenuto anche se non fosse stata eletta. I suoi intermediari che avevano organizzato l’incontro qui al Centro, durante la campagna elettorale, non sono più reperibili. Ma il progetto ce l’ha anche il Presidente della Regione, il Sindaco di Palermo, il Presidente Rosi Bindi della Commissione Antimafia, il Prefetto. “E all’amministrazione non costerebbe nulla, perchè si farebbero con fondi europei.” – dice Franco Puglisi - “Mio fratello non ha fondato il Centro Padre Nostro per fare il catechismo” – aggiunge Franco Puglisi – “quello lo faceva in chiesa, ma il centro di accoglienza, come la stessa parola dice, serviva ad accogliere chi ne aveva bisogno. Lo scopo finale era l’evangelizzazione, senza dubbio, ma quello primario era cercare di esaudire i bisogni delle persone. Padre Puglisi arriva a Brancaccio e si crea gli strumenti, fa un’indagine sociale, vuole sapere quanti disoccupati, quanti anziani, quanti tossicodipendenti, quanta gente in galera, perchè doveva guidare una comunità. Aveva un gregge, voleva conoscere le sue pecore. Lui sapeva che doveva chiedere alle istituzioni, in un quartiere dove si chiede alla mafia. Se gliel’avesse chiesto, i Graviano avrebbero fatto Brancaccio d’oro, solo perchè a chiederlo era un ministro della Chiesa. “Se si continua su questo passo – conclude – “la mafia sa che qualcuno la rimpiangerà prima o poi.”

Fonte: La Gazzetta Palermitana

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