«Con la mafia non si convive. Fra la mafia e il Vangelo non può esserci alcuna convivenza o tantomeno connivenza. Non può esserci alcun contatto né alcun deprecabile inchino». È l’eredità civile di don Pino Puglisi quella che, insieme a quella spirituale, fanno di questo sacerdote martire, ucciso dalla mafia «un figlio coraggioso della “Chiesa che parla” e che non sta in silenzio; di una Chiesa che non si inchina davanti a nessuno, ma che si inginocchia solo davanti a Gesù Cristo crocifisso e ai poveri per lavar loro i piedi». Lo dice a chiare lettere il vertice della Chiesa italiana, il nuovo Presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, davanti a centinaia di persone riunite nel luogo in cui un colpo di pistola alla nuca tentò di fermare l’opera rivoluzionaria di un prete che «abitava le periferie, viveva le frontiere».
La veglia di preghiera a Piazza Anita Garibaldi, dove don Puglisi fu ucciso 24 anni fa, nel giorno del suo 56° compleanno, è l’evento conclusivo di una lunga giornata della memoria cominciata alle 10.00 del mattino con circa duemila ragazzi delle scuole, guidati dagli operatori del Centro Padre Nostro e assiepati in Cattedrale per ascoltare le parole di don Puglisi e portare un fiore giallo di carta sulla sua tomba a forma di spiga di grano.
Il ricordo di Lorefice
Poi nel pomeriggio una celebrazione eucaristica, sempre in Cattedrale, presieduta dall’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, che di Puglisi fu amico e collaboratore al Centro regionale vocazionale, alla fine degli anni Ottanta.
“La vita di don Pino è stata quella di un pastore che si prende cura degli altri e che ha tanto amato da donare la sua vita – dice l’arcivescovo durante l’omelia -. Una storia di riscatto dal male, che incarna la sua pastorale nella vita concreta della gente, da Godrano a Brancaccio, attraverso tutta la sua poliedrica attività in diocesi”. Poi consegna simbolicamente la sua lettera pastorale ad alcuni sacerdoti, laici, giovani, al cardinale Bassetti, al Sindaco Leoluca Orlando, che ringrazia l’arcivescovo confermando «il cammino della città in ricordo e in coerenza con l’insegnamento di padre Puglisi».
Il cardinale Bassetti
A un particolare ricordo personale si lascia andare il cardinale Bassetti, perché «don Pino è stato un volto a me caro e persino familiare. L’ho conosciuto personalmente fra gli anni Settanta e Ottanta. Ero rettore del Seminario di Firenze e responsabile del Centro regionale per le vocazioni. Anche don Pino era impegnato in Seminario e nel Centro vocazionale. Ci vedevamo agli incontri nazionali. Ne ricordo ancora il suo sorriso, il suo sguardo, la sua dedizione totale al Signore. Una persona apparentemente fragile. Ma già allora si percepiva che era un gigante della fede. Percorreva altre strade rispetto a tutti noi». E lancia parole di forte condanna della mafia, ma anche di rinnovato senso di responsabilità dei cristiani. «Chi è un discepolo di Cristo, chi è figlio della luce è tenuto a denunciare le tenebre, quindi le organizzazioni criminali. Denunciarle con le parole, con i gesti, con la sua testimonianza – dice senza mezzi termini – ma anche rivolgendosi alle forze dell’ordine e alla magistratura che in questo territorio, come nel resto dell’Italia, hanno pagato anche con il sangue il loro impegno contro l’illegalità: oltre a Carlo Alberto dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che sono stati uccisi qui a Palermo, vorrei ricordare il giudice Rosario Livatino, di cui è in corso il processo di beatificazione».
Nessuna intenzione di trasformare il beato Puglisi in un «santino», «don Pino, infatti, ci chiede di impegnarci nell’educazione alla vita buona che è legalità, apertura dell’altro, rispetto delle regole e della convivenza civile».
Mattarella e Grasso
Numerosi i messaggi giunti dalle più alte cariche dello Stato. Per il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, «la sua è stata una vita di coerenza a servizio dei più deboli e svantaggiati, per liberarli dalla spirale di emarginazione e illegalità, e aprire così la strada verso una piena cittadinanza». E il Presidente del Senato, Pietro Grasso, ricorda «quel sorriso, dolce e forte allo stesso momento», che «si impresse nell’animo dei due uomini che lo ammazzarono. Fu così che, dopo il loro arresto, decisero di convertirsi e collaborare con la giustizia».
di Alessandra Turrisi
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