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L'intervista. Il Ministro a Palermo: avevano uno stile antimafia che la nostra società non può dimenticare

Ricciardi: Mattarella e Puglisi, due martiri

data articolo 10/07/2012 autore Giornale di Sicilia categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo del Giornale di Sicilia
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«Rigenerare la politica non è partire da un moralismo astratto. E riconnettersi alla memoria di chi ha fatto politica nella speranza di cambiare. Riproporre una figura come Piersanti Mattarella è tornare a una sintesi tra politica, cultura, servizio del tecnico alla comunità civile». Il ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione, Andrea Riccardi, in Sicilia per alcuni incontri che ieri lo hanno portato in Prefettura a Palermo per il Consiglio territoriale dell'immigrazione e in visita alla missione Speranza e carità di Biagio Conte, mentre oggi sarà a Mazara del Vallo, è intervenuto ieri all'Orto Botanico di Palermo sul tema «Rigenerare la politica». Dopo quello cui abbiamo assistito in questi anni, da dove si comincia? «Il tempo di questo governo di tecnici può essere un'occasione per rigenerare la politica. Bisogna partire da due aspetti: il primo è il colloquio con la gente, i partiti devono tornare a essere rete in mezzo alla gente. Penso che l'antipolitica sia una domanda di politica, la quale non può fare a meno dei partiti, che vanno rinnovati. L'altro punto da cui partire è la cultura: la politica è stata mediatica in tutti i suoi aspetti, una teatralizzazione che ha condotto a un antagonismo che ci siamo portati dietro fino all'anno scorso, irriducibile, che sembrava fondarsi più su una differenza di qualità che su una differenza di soluzioni. Così si è consumata la Seconda Repubblica mai nata, forse con una legge elettorale che ha enfatizzato lo scontro, le leadership dei partiti e non la realtà di essi. La Seconda Repubblica è stata l'Italia nella globalizzazione, abbiamo fluttuato nei marosi della globalizzazione e, quindi, abbiamo perso la posizione geopolitica. Credo che il linguaggio politico stia cambiando». Nell'ultimo libro di Savagnone si parla della necessità di partire da una formazione dal basso per reintrodurre i cattolici in politica. Ma movimenti e parrocchie sono in grado di farlo? «Credo che nei nostri ambienti deve lievitare la cultura politica. La riflessione dei laici è stata mortificata in questi anni, deve rifiorire. Il mondo cattolico è sfidato a pensare e a proporre, non basta solo quello che dicono i vescovi, che si colloca a un altro livello. Mancala "borghesia" come dice De Rita, manca una classe "sintesi". Abbiamo vissuto un tempo difficile, i nostri mondi sono stati decapitatidi pensieri e di idee". Lei fa parte di un governo che viene aspramente criticato da una parte di Confindustria (il presidente Squinzi ha parlato di "macelleria sociale" con riferimento alla spending rewiew), dopo essere stato considerato al principio l'ultima chance per uscire dal baratro. Come si esce da questa crisi? «Il governo Monti sta cercando di uscire dalla crisi, pur non essendo l'unico attore di questo processo, dove grande parte hanno l'economia mondiale, l'Europa. Ci vuole una ripresa di tono degli italiani. Siamo un Paese che si è ripiegato su se stesso, introverso. Credo che bisogna essere un po' più calmi quando si fanno simili dichiarazioni (il riferimento è alle parole di Squinzi, ndr). La spending review è stata purtroppo una necessità per evitare che l'Italia finisse nel baratro, per evitare insomma dì finire in una crisi ancora più grave». In tema di immigrazione, la Sicilia non vive piùl'emergenza dell'anno scorso, ma resta sempre il primobaluardo dell'Europa nel Mediterraneo, come dimostra l'ultimo sequestro di pescherecci di Mazara. Cosasi sta facendo per migliorare i rapporti con l'altra sponda del Mediterraneo? «Innanzitutto è successo qualcosa di interessante dal punto di vista politico sull'altra sponda. L'immigrazione non viene più usata come una valvola per fare pressione sul governo italiano. Abbiamo costruito ottimi rapporti con la Tunisia, abbiamo lavorato per una gestione responsabile e non ricattatoria del flusso migratorio, in Libia sta cambiando qualcosa. Sono stato sempre molto perplesso sull'atteggiamento di Gheddafi nei confronti dell'immigrazione e anche del fare troppe concessioni a Gheddafi, non solo da parte dell'ultimo governo ma durante tutta la Seconda Repubblica. Poi ci sono tanti drammi nel Mediterraneo che dobbiamo fermare, il problema migratorio è vastissimo, non basta fare i duri alla frontiera, occorre un impegno con l'Europa». Ministro, lei viene in Sicilia in un momento molto importante, perché una decina di giorni fa il Vaticano ha riconosciuto il martirio di don Pino Puglisi, ucciso in odio alla fede da Cosa nostra. Lei ha collaborato con uno studio specifico alla ricostruzione dell'impegno di Puglisi in terra di mafia. Che idea si è fatto? «Puglisi mostra il valore del sacerdozio cattolico, pastorale, pastorale, educativo. Chi ha detto che era un prete politico-sociale non ha capito niente e ha gli occhi accecati dal pregiudizio ideologico. Puglisi è un prete del Concilio, un prete di Giovanni Paolo Il. Non a caso il discorso del Papa sulla mafia ad Agrigento nel 1993 è una delle cause dell'offensiva della mafia, offensiva che toccò per la prima volta un prete e che poi portò all'esplosione di plastico sulla facciata di San Giovanni in Laterano, quasi un secondo attentato al Papa. Il riconoscimento del martirio è molto importante, perché si vede la vera faccia del cammino spirituale e pastorale della Chiesa di Giovanni Paolo II, la si vede in Sicilia e la si vede in quel terzo mondo che era Brancaccio». A chi parla oggi don Puglisi? «Siamo in una società in cui domina l'esaltazione della ricchezza, dell'individualismo. Don Puglisi ci parla di una vita donata per un quartiere difficile. Un altro grande siciliano, Piersanti Mattarella, ci parla di una sobrietà borghese, familiare, muore senza scorta per non disturbarla nel giorno dell'Epifania. Siamo di fronte a due personaggi, il cui stile mi sembra di un secolo fa. Però questi comportamenti e queste testimonianze devono ritornare». Cosa hanno In comune Puglisi e Mattarella? «La morte dell'ex Presidente della Regione siciliana è stata il martirio di un politico. Certo non come quello di don Puglisi, ma anche Mattarella è stato un martire, colui cioè che non ha abbandonato il suo posto anche quando si profila la minaccia della morte. Piersanti Mattarella e don Pino Puglisi combatterono la mafia con strumenti diversi, ma entrambi pericolosi». Alessandra Turrisi

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