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Detenute madri, "estendere il modello Icam"

data articolo 01/12/2011 autore Redattore Sociale categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo di Redattore Sociale
Articolo di Redattore Sociale
Giornata di studio a Palermo. Solo a Milano esiste l'istituto a custodia attenuata per madri. "Sul perchè ancora non si sia riusciti a fare decollare altre realtà, ci sono grandi responsabilità istituzionale" PALERMO – Una giornata di studio e di confronto sulla detenzione in carcere delle madri con figli che ha posto l’attenzione, in particolare, sulla innovazione legislativa che ha permesso la nascita a Milano dell’Icam, l’istituto a custodia attenuata per madri. E’ stato questo l’obiettivo dell’incontro, organizzato dalla Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Sicilia, patrocinato dall’assessorato regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro che si è svolto questa mattina presso il Centro per la Giustizia Minorile della Sicilia di Palermo. In Sicilia su 27 case di reclusione esistenti, sono presenti sette sezioni femminili annesse agli istituti maschili. Il carcere Pagliarelli di Palermo ha la sezione femminile più grande dell’Isola. Ad oggi, secondo i dati resi noti da Giuseppa Irrera, direttore ufficio detenuti e trattamento Prap Sicilia, ci sono 218 donne detenute di cui 67 straniere e 24 tossicodipendenti. Soltanto la sezione femminile di Messina ha un asilo nido in cui in questo momento ci sono tre bambini. Nonostante le molte previsioni normative volte a facilitare percorsi alternativi alla detenzione, ci sono ancora molte madri che sono detenute in carcere con i propri figli di età inferiore ai tre anni. L'Icam ha come finalità quello di far uscire i bambini dalle strutture detentive. “L’intento di oggi è quello di sensibilizzare gli altri ad un problema che non va assolutamente sottovalutato – riferisce Maurizio Artale, presidente della Conferenza Regionale Volontariato Giustizia Sicilia (Crvgs) -. Purtroppo poiché per il momento l’unico Icam esistente è quello di Milano, il problema principale che vivono queste donne è quello dello sradicamento forzato dal loro territorio di origine che, allontanandole dalla famiglia, le fa vivere una sorta di isolamento dai legami affettivi molto forte e sofferto. La nostra richiesta è che si postano costituire altri Icam in ogni regione. Per quanto ci riguarda il Centro Padre Nostro ha già disponibile una struttura alla quale potrebbe essere riconosciuto questo delicato ruolo”. “Impegniamoci perché questo tipo di istituti, gli Icam, possano avere la più ampia diffusione possibile – aggiunge Alberto Bellet, presidente del tribunale di sorveglianza di Palermo -. Ricordiamoci che il futuro potrebbe essere anche quello di aprire altre strutture per i detenuti padri qualora la madre non ci sia o sia impossibilitata ad occuparsi del bambino”. “Oggi il problema fondamentale è quello di predisporre le condizioni affinché la donna possa reinserirsi nella società – afferma Leda Colombini dell’associazione ‘A Roma Insieme’ -. Per fare ciò occorre lavorare ancora tanto per fare crescere nuovi percorsi di solidarietà ed accoglienza sociale. La nostra idea è che in custodia cautelare non devono stare i bambini fino a sei anni con le madri ma che le madri stiano fuori con loro. Sicuramente l’Icam è un passaggio importante ma deve essere assunto proprio nella sua valenza transitiva. Per moltiplicare i segni di civiltà del nostro Paese auspichiamo anche una maggiore attivazione di tutte le misure alternative alla detenzione come le case protette che possano davvero sfollare le carceri”. “Del pianeta carcere oggi sappiamo tutto ma quello che occorre fare è un vero e proprio salto di qualità dei nostri ragionamenti – sottolinea Francesca Corso, fondatrice dell’Icam di Milano -. Dal 2007 ad oggi siamo stati in grado di avere in carico 181 bambini e 171 madri e questo per noi è un successo che spero dimostri la fattibilità di un modello che può essere esteso in altre parti del Paese. Sul perchè ancora non si sia riusciti a fare decollare altre realtà, credo che su questo ci siano delle grandi responsabilità a livello istituzionale che non possono essere giustificate. Il salto di qualità che dobbiamo fare è quello di comprendere che l’Icam è un importante strumento di transizione delle detenute madri molto importante che può portare gradualmente e con il tempo anche a conclusioni diverse. Nello stesso tempo dobbiamo lavorare ancora molto a tutti livelli per predisporre maggiori condizioni atte a favorire le case famiglie protette senza perdere tempo o aspettare il 2014”. (set) © Copyright Redattore Sociale

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