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La strada come stadio i baby Miccoli crescono nei quartieri dimenticati

Cronaca. Viaggio nei rioni dove mancano le strutture e i bambini giocano tra immondizia e detriti

data articolo 16/12/2010 autore La Repubblica categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo de La Repubblica
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IN VIA Uditore i goal hanno il suono assordante delle saracinesche. A Borgo Nuovo i pali sono le facce sui poster dei cantanti neomelodici: Tony Colombo quello di destra, Mauro Nardi il palo di sinistra. Allo Zen i randagi rincorrono il pallone contrastati dai bambini. Nella Palermo dove la scuola calcio è un lusso, pietre e asfalto diventano erba. I marciapiedi assist per le triangolazioni. In assenza di campi da gioco, cortili e vicoli si trasformano in rumorosissimi stadi. Qui il calcio è molto più di uno sport. E’ medicina. Tiene lontano la droga e i furti. Nel cuore del quartiere, in via Adamo Smith, i bambini dello Zen sgattaiolano in fila indiana tra le inferriate inarcate di un vecchio cancello arrugginito. Una Strettoia di rifiuti, conduce ad un ampio rettangolo di sabbia e macerie. Qui, c’erano una volta i campetti Opian. Realizzato dall’istituto Case popolari, che ne lasciò successivamente la gestione alla parrocchia del quartiere, questo multifunzionale polo sportivo raccoglieva al suo interno un campo da calcio, uno di basket e pallavolo, una pista di pattinaggio ed un’aria di svago destinata ai più piccoli con giochi e altalene. «io ho avuto la fortuna di giocarci — racconta Cosimo, 27 anni, residente — Qui si disputavano tornei. Con mio padre trascorrevamo il sabato pomeriggio affacciati alla finestra a guardare le partite. Poi, un bel giorno, finì tutto. E in pochi mesi questo posto si trasformò in una discarica». Oggi, di quella struttura, non è rimasto più nulla. La lunga fila di edifici bianchi dove una volta sorgevano gli spogliatoi, è ora un covo sventrato di spazzatura e randagi. In una lettera aperta indirizzata al Comune di Palermo dalle battaglie ro avvocato Giustino Piazza, padre di Emanuele, l’agente misteriosamente scomparso nel 1990, si parla di “scelte errate” nella gestione, «prima fra tutte quella di affidare la custodia a personalità non affidabili». Nel 2009 la giunta stanzia un finanziamento di circa 110 mila euro per il recupero dei campetti. L’appalto se lo aggiudica la I. P. L. Group di Partitico che, a causa di problemi legati all’impianto elettrico, chiede la variazione del progetto. Ma i bambini dello zen sono stanchi di aspettare. Qui di alternative non ce ne sono. In attesa che i grandi si decidano, fango, sassi e sacchetti di immondizia sono il loro Maracanà. «Noi vogliamo giocare – racconta Michele, 11 anni, sulle spalle il numero 10 di Miccoli – I vicini si lamentano. Dicono che facciamo troppo rumore. Ma qui manca pure lo spazio per fare due tiri in porta». «I campetti Opian possono diventare un autentico presidio di legalità nel quartiere – spiega Giuseppe Mattina, referente della Caritas, impegnato nel recupero dell’area – E potrebbe inoltre ospitare la sede dei servizi sociali che dovrebbero sorgere su alcuni edifici adiacenti agli spogliatoi vandalizzati dal 2008». Ci spostiamo di qualche centinaia di metri. Ai lati dell’area, sette automobili bruciate e immondizia, sono il gioco preferito dei bambini dello Zen 2. Al centro della discarica, un cartello issato su un alto palo di metallo recita: “Giardino della civiltà” sotto l’immagine coloratissima di aiuole, alberi e altalene. Un progetto inserito nel piano triennale delle opere pubbliche agli inizi del 2000 che però non sono mai cominciate. «I soldi dello stato consegnati alla Regione sono ancora bloccati – spiega l’assessore alle Opere pubbliche Sergio Rappa – Per raggiungere l’accordo manca l’intesa tra il Comune e la Regione che si rifiuta di mettere la firma per uno stanziamento di 46 milioni di euro». Su questa piazza di detriti, materiale di scarico, carcasse di animali e motorini i ragazzi dello Zen giocano a pallone. Come a Brancaccio, dove il degrado lascia spazio alla fantasia. Le reti dei materassi abbandonati tra le colline di rifiuti ammassati accanto i cassonetti si trasformano in porte. Qui sono le bambine a farla da padrone. Calciano così forte che ad ogni goal la palla si incastra tra le maglie delle reti di metallo. Eppure qualcosa comincia finalmente a muoversi. Il sogno di Padre Puglisi, la costruzione di un campo di calcio, che il prete coltivò fino alla sua morte, rimasto calce e terra per ben 17 anni, diventerà presto realtà. «Ce l’abbiamo fatta – racconta entusiasto Maurizio Artale responsabile del Centro Padre Nostro – Puglisi lottò fortemente per la costruzione di uno spazio, dove i giovani potessero confrontarsi attraverso lo sport. Lo sport nei quartieri a rischio di Palermo ha una doppia valenza e Padre Puglisi fu il primo ad istituirlo. Insegna ai ragazzi delle regole. Quella del gioco di squadra ad esempio. La più importante a Brancaccio». Lorenzo Tondo

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