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Questa città in cerca di speranza

data articolo 03/10/2010 autore La Repubblica categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo de La Repubblica
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PALERMO mostrerà oggi il suo volto migliore al Pontefice tedesco che la attraverserà a bordo della "Papamobile". Sia pure con l' affanno e l' improvvisazione che sempre caratterizzano la sua marcia di avvicinamento ai "grandi eventi", la città si è ripulita delle montagne di rifiuti che si accatastavano a ogni angolo, ha rattoppato strade e marciapiedi, ha rinunciato per un weekend ai lenti cortei clacsonanti che ingombrano e intossicano le vie del centro. Non è difficile prevedere che la polvere nascosta a fatica sotto i tappeti rispunterà fuori a partire da domani. Ma intanto è consolante vedere che qualche brandello di spirito civico, sia pure stimolato da severi divieti e minacce di maximulte, è sopravvissuto,a dieci anni dall' ultima kermesse figlia della grandeur orlandiana, quella conferenza anticrimine delle Nazioni Unite che costrinse anch' essa i palermitani ad accantonare le brutte abitudini e a mostrarsi "europei" per una settimana. C' è un' altra Palermo, però, che Benedetto XVI non vedrà. U U na Palermo che vive, soffre e stringe i denti al di là dei boulevard lustrati e pavesati a festa. La Palermo dei senzatetto, dei casermoni di periferia, dei quartieri satellite senza giardini né consultori, delle scuole cadenti, dei bambini e degli anziani senza assistenza, degli insegnanti precari a vita, dei giovani costretti a emigrare o a inchinarsi a un potente o a un capobastone per lavorare e realizzarsi. Ma anche dei commercianti che rifiutano di sottostare alla tassa del pizzo, della rete di volontariato che sopperisce alle carenze del pubblico, dei professori che vanno in cattedra ogni giorno a dispetto di raid vandalici e aule pericolanti, dei medici che salvano vite in ambulatori sgarrupati. Nell' intervista di martedì scorso a Repubblica, l' arcivescovo Romeo ha detto di avere raccontato tutto ciò al Pontefice, e ha confidato di avere alzato più volte la voce con i governanti perché facessero qualcosa per risollevare una terra ferita e sconfortata. Anche per questo, Palermo si aspetta oggi dal Papa un segno forte di vicinanza e di incoraggiamento. Una leva su cui spingere per risalire la china, per ritrovare forza, per ridarsi l' autostima necessaria ad affrontare le sfide epocali alla mafia colpita dai blitz ma ancora diffusa e pericolosa, e al malgoverno di una politica intenta più a tessere trame di palazzo che a curare il bene comune. Questo è il messaggio che Benedetto XVI, nel suo aspro italiano arrochito dal tedesco, può lanciare oggi ai palermitani. Ai credenti e agli atei, agli agnostici e ai dubbiosi, ai cristiani in cammino e a quelli senza Chiesa. Un messaggio che parli di coraggio e di riscatto, di orgoglio e di fiducia. Che, lungo il solco tracciato da Wojtyla con il celebre grido «Non abbiate paura» e poi con l' anatema contro i mafiosi scagliato diciassette anni fa dalla Valle dei templi, scuota le coscienze intorpidite da almeno un decennio di egoismo di massa. Che dia forza alla Chiesa di base che nei quartieri di Palermo trasformati dagli sgherri di Cosa nostra in terre di missione è spesso l' unica trincea di legalità, di comunità, di rispetto per l' uomo. Una Chiesa che ha avuto in Pino Puglisi il suo esempio più alto, non a caso stroncato dai boss terrorizzati dalle sue parole potentie disarmate. Una Chiesa che, grazie alla tenace benevolenza del cardinale Pappalardo, ha rotto - non senza ostilità interne e diffidenze sotterranee - silenzi, timidezze e complicità del mondo cattolico nei confronti del più grande "peccato sociale" che questa terra abbia conosciuto: la mafia. Certo, non sarebbe realistico né generoso chiedere a quell' uomo minuto e vestito di bianco di invertire in dodici ore di visita il corso della storia. Ma sarebbe già tanto se la città bollata vent' anni fa da Sciascia con un aggettivo marmoreo come una pietra tombale - irredimibile - traesse da questa giornata particolare un refolo di speranza di redenzione. Fabrizio Lentini

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