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Viaggio fra i beni confiscati

"Le associazioni? Chi le ha viste" Dopo l’inchiesta di Striscia un giornalista controlla a campione gli edifici di Palermo sottratti alla mafia e assegnati ai volontari: da via Oreto a viale Francia, quasi tutti sono chiusi

data articolo 22/03/2010 autore Rivista S categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo di Rivista S
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Tutto chiuso. Come nelle più torride domeniche d’agosto. Portoni sbarrati, serrande abbassate, citofoni muti. Le associazioni di volontariato che dispongono di beni confiscati alla mafia sembrano essere in ferie. Partite, come in un massiccio esodo “senza scopo di lucro” della città. Certo, non tutte. Eppure, abbiamo girato, elenco alla mano. E abbiamo bussato a molte porte. Niente. Tutto chiuso. Mentre la pioggia caduta su questo marzo palermitano, il cielo plumbeo, il vento improvviso ci rassicuravano: non era agosto. Il calendario diceva il resto: non era nemmeno domenica. Sono circa 150 i beni confiscati alla mafia e “girati” dallo Stato al Comune di Palermo. Alcuni di questi sono riutilizzati dal Comune stesso. La stragrande maggioranza, invece, va alle associazioni seguendo nebulosi meccanismi. Abbiamo visitato (si fa per dire ) circa il 15% dei beni. Per alcune mattine, dalle 9 alle 13. Un campione casuale. Una “scelta” che non renderà giustizia a chi quei beni li usa con serietà. E a chi, magari, proprio quel giorno aveva deciso di riposarsi un po’. Ma questa non è un’indagine (se ne occuperà il Comune, sembra). E’ un racconto. Al di là dei clamori televisivi e della polvere delle carte. Siamo andati a vedere. Abbiamo bussato. E, su una ventina di associazioni, ci hanno aperto solo in due. Al di là del fiume Oreto, il quartiere è “costellato” di beni confiscati alla mafia. In via Bocchieri ce n’è uno: è dell’associazione Talea. Iscritta al registro regionale delle associazioni di volontariato dal 19 gennaio del 2005, è introvabile invece lungo i binari del web. Una delle associazioni più fortunate, visto che, nonostante la “giovane età” (alcune associazioni sono iscritte da oltre 10 anni), ha già ottenuto un bene confiscato a Giuseppe gambino. Chiuso. Un magazzino riconducibile all’organizzazione di volontariato solo per l’insegna affissa fuori. Niente di più. Pochi metri più in là, lungo la via oreto Nuova, si giunge al piazzale Aurora circondato da palazzoni e delimitato da muretto e ringhiere. La portineria è quasi un monolocale. E per di più affollato. Ma il portiere non c’è Chiediamo informazioni sull’associazione La Fenice, una cooperativa sociale che ha ricevuto un appartamento al quinto piano, confiscato a Pietro Vernengo. “Qua non si è quasi mai visto nessuno – spiegano alcuni degli inquilini dello stabile – e quell’appartamento è sempre chiuso”. E in effetti le serrande sono giù. L’appartamento pare disabitato. Proviamo comunque a metterci in contatto con l’associazione, tramite il citofono: “Non ricordiamo qual è il numero – ci rispondono – non lo usiamo mai”. Alla fine si trova. E squilla a vuoto. “Figurati – ci consola beffardamente un inquilino – anche per farci pagare il condominio dobbiamo inseguirli a lungo”. La mattinata è già inoltrata, e l’inizio non è confortante. Nonostante ciò, risaliamo lungo il viale dell’Orsa Minore. Due associazioni hanno ricevuto due locali “confinanti”. Ma anche stavolta, il risultato è lo stesso. Due garage chiusi, nonostante le insegne delle associazioni “La Fraternità” e “La Madonnitta”. Chiediamo al personale dei negozi vicini, che ci rassicurano: “Loro vengono, qualche volta. Strano abbiate trovato chiuso”. Strano. Sarà solo sfortuna. Spostandosi verso la “parte vecchia” di via Oreto, incrociando l’associazione Pellegrino della Terra, legata alla chiesa presbiteriana, che si occupa di sostenere agli immigrati. Entrando nel locale (confiscato a Settimo Mineo), è difficile credere che in quel luogo l’associazione possa fare molto. La stanza è sfoglia, tavoli e sedie sono accatastati di lato. In fondo alla sala una ragazza di colore, al di là di un tavolo di plastica coperto da una cerata multicolore. "La responsabile non c'è", ci dice. Ci guardiamo attorno: non c'è un telefono, un fax, nulla che possa fare pensare a un'attività intensa. Non c'è nemmeno la responsabile, come detto. Ma almeno, questo centro è aperto. Pochi metri avanti, invece, andando verso la stazione, ci imbattiamo in un altro bene confiscato, stavolta a Vittorio Molfettini. Al civico 31 un portone scuro, fatiscente e minaccioso. La scritta "suc­cursale" sulla porta si intravede appena, sotto un pesante numero 2 in ferro, posto in alto. Il campanello è lurido. Forse mai usato. E comunque non serve. L'ingresso è "sigillato" da un pesante catenaccio. Unico segno dell'associazione "Insieme", la buca delle lettere, fuori. "Ma quella buca - racconta il postino, giunto proprio in quegli istanti - non l'ho mai usata. Qua non ho mai visto nessuno". Si potrebbe pensare che sia la via Oreto a essere "stregata". In realtà il nostro giro ha compreso tutta la città, passando per il centro, e giungendo fino in viale Francia. Lì la cooperativa Penelope ha ricevuto un bene, confiscato a Tommaso Cannella. Undicesimo piano. Il portiere ci assicura: "La signora c'è, vede la macchina". Ma nulla. Il campanello trilla a vuoto. Sfortuna. Che cerchiamo di esorcizzare in via De Gasperi, dove ciattende l'associazione "II Quadrifoglio" che ha ricevuto un bene confiscato a Calogero Spina. Ma una scritta che avverte del trasloco di un negozio qualche civico più in basso ci delude, anche stavolta. E l'associazione? Chiediamo a due signori che abitano un portone più in là "Associazione? -rispondono -Qua c'era un negozio, fino a circa un anno fa. Poi s'è trasferito. Noi viviamo qui. E di quest'associazione non ne sappiamo nulla". In via Ugdulena, una traversa di via Libertà, invece, l'organizzazione "Nuova era a viso aperto" ha ricevuto persino uno splendido attico, confiscato a Nicolo Milano. "A viso aperto", dice l'associazione. Ma noi non vediamo nessuno. Nonostante i commercianti della zona assicurino: "Vengono, spesso. Ma oggi non ci sono". Sfortuna. E ci risiamo. A piedi, via Sampolo non è distante. Al civico 40 c'è un bene assegnato all'associazione Aimatos, che si occupa di donazioni di sangue. Qualche segno di attività, al di là della ringhiera chiusa, c'è Alcuni fogli affissi. Ma nessun orario di ricevimento. E nessuno con cui parlare. Nemmeno stavolta. Stesso discorso per un appartamento in viale del Fante, destinato all'Associazione Cilla (sul cui sito non risulta nemmeno una sede palermitana), che si occupa di accoglienza per i malati e i loro familiari. "La signora è andata via proprio adesso", ci dice il portiere. Qualcuno, per fortuna, però, ci apre. In corso Tukory, il "Centro Aiuto alla Vita", offre sostegno alle ragazzi madri, al fine di evitare gli aborti. Il locale sembra attrezzato, il personale c'è e lavora. Giovanissime coppie sono all'interno. Alcune in attesa del primo colloquio. Un bambino paffuto e roseo ci sorride. "Dobbiamo dire - ci spiegano la presidente Giuliana Savagnone e la responsabile Emma Patrì Torregrossa - che abbiamo sempre avuto il sostegno del Comune, ma abbiamo fatto comunque grandi sforzi per rendere efficiente questa struttura". Grande sostegno dall'amministrazione comunale. La frase delle responsabili del Centro Aiuto alla Vita è, paradossalmente, una nota stonata. Perché oltre al silenzio delle associazioni visitate e trovate chiuse, c'è un a hrefo strozzato di tutte quelle che invece hanno richiesto dei beni e non gli sono mai stati affidati. "A me risulta - precisa l'assessore comunale Francesco Scoma -che le domande inevase siano non più di una ventina. Non quelle centinaia che qualcuno vorrebbe far credere". E il riferimento, probabilmente, va alla recente inchiesta di "Striscia la notizia" che ha alzato il polverone. Ma qualche scontento c'è, come ad esempio Maurizio Artale, responsabile del Centro Padre Nostro: "Da 10 anni facciamo richieste e non ci è mai stato assegnato nulla. Se stiamo antipatici, ce lo dicano chiaramente". E la delusione di Artale si arrende di fronte al paradosso: "Noi rappresentiamo il centro voluto da don Pino Puglisi - spiega - e non ci assegnano beni confiscati alla mafia. E invece, li danno a un Centro giovanile don Giuseppe Puglisi, ironia della sorte". Non solo, però. Secondo Artale, infatti, c'è di più: "Ci sono soggetti che si presentano più volte con nomi diversi. È un escamotage per avere diversi beni in assegnazione, mentre c'è chi non ne ha mai ricevuto uno". E tra queste associazioni "a bocca asciutta" c'è anche la Zagara, che si occupa di centri aggregativi per adolescenti e anziani. E la vicenda di questa associazione getta ombre sulla gestione "politica" dei beni confiscati: "Avevamo fatto numerose richieste agli assessorati competenti - racconta la responsabile Anna Federico -. E la legge prevede che entro 30 giorni ci venga data risposta. Cosa che non è mai accaduta, così abbiamo inoltrato di­versi solleciti". Dopo qualche mese, però, l'evento inaspettato: "Mi chiama personalmente al cellulare l'assessore Pippo Enea -aggiunge - e mi invita a smetterla con questi solleciti e a chiedere genericamente un bene, piuttosto che un locale specifico. Quindi mi avvisa di averne uno a disposizione e che si può visitare. Io chiedo se bisogna fare qualche richiesta, mi risponde di no. Prendiamo l'appuntamento con la dirigente, ma l'edificio non è visitabile per­ché manca la chiave. A quei punto rimandiamo a un altro giorno da definire. Non mi ha più chiamato nessuno. E quando ho chiesto novità, mi hanno detto che quel bene era già stato affidato a un'altra associazione". La replica di Enea è netta: "Tutte le associazioni cui abbiamo assegnato beni hanno avuto il nulla osta della prefettura. Per la gestione e l'assegnazione - ha detto a Striscia - le regole sono sempre state chiare. Non a caso, nei 4 anni e mezzo in cui ho gestito questa materia, non ho mai avuto contestazioni dallo Stato, dalla polizia o dalla prefettura Io e il mio ufficio abbiamo sempre lavorato bene". Insomma, ampia discrezionalità, trattative poco trasparenti, mancanza di criteri certi alla base delle assegnazioni. Lacune e limiti ai quali l'assessore Scoma sembra voler provvedere: "Presto -annuncia - metteremo a punto un regolamento comunale che fissi i principi e i criteri per le assegnazioni. Questo non vuoi dire che finora si è fatto come si voleva, visto che le associazioni assegnatane passavano anche dal vaglio della prefettura. E credo che nella stragrande maggioranza dei casi non ci sia alcun problema. Se c'è qualcosa da monitorare, ovviamente, lo faremo". Nel frattempo, però, dal sito del Comune è scomparsa la pagina con l'elenco dei beni confiscati assegnati o da assegnare. Intanto, al di là della tv e delle carte, delle indagini promesse dal Comune e possibili anche da parte della Procura, dove sono giunti già alcuni esposti, resta quella sfilza di portoni e garage chiusi. Di associazioni sconosciute persine ai propri "vicini di casa" e in grado di non fare "associazionismo" nemmeno tra loro. "A volte facciamo dei raduni - racconta Emma Patrì Torregrossa -ma ciascuno sta dietro il proprio banchetto a difendere un orticello". Come accade, secondo Artale, in corso dei Mille, all'altezza di piazza Torrelunga. "Lì hanno affidato - racconta - due beni alla parrocchia di San Salvatore e uno all'associazione Libellula. Quest'ultima ha chiesto alla parrocchia di usare uno dei due locali, che sembrava inutilizzato. La risposta è stata negativa, perché quel magazzino serviva da deposito alla Chiesa". Un deposito, che siamo andati a vedere. Così come gli altri beni adiacenti. Chiusi anche questi. Mentre su Corso dei Mille ricomincia a piovere. Già, non è agosto. E nemmeno domenica. Accursio Sabella

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