PALERMO. (sit) Rosario e Salvuccio, ‘u parrinu e ‘u mafiusu, il prete ed il killer di professione.
Eppure son fratelli, figli dello stesso padre e dell’identica madre e si rincontrano dopo vent’anni di silenzio: differenti per costituzione, dediti ad un ideale, diametralmente opposto, ispirato da un dio cristiano e da un boss, «capi» ambedue, senza ritorno.
Li racconta «Mutu», spettacolo di Aldo Rapè, presentato ieri al centro Accoglienza Padre Nostro di Brancaccio, e in scena da domani sera alle 21 a sabato presso l’associazione «Quarta Parete» (via Vincenzo di Marco 3). In scena lo stesso Aldo Rapè e Nicola Vero, guidati da Lauro Versari, per narrare punti di vista, canoni linguistici, obiezioni e variazioni di due vite diverse che adesso si scontrano all’interno di quel focolare domestico regolato da sentimenti e tradizioni centenarie ovviamente incomprensibili agli estranei.
«Rosario e Salvuccio, il nero e il bianco – spiega il regista – due recite contrapposte per uno stesso fine, evadere strappandosi tutte le maschere, per ritrovarsi fratelli in un unico abbraccio strategico, entrambi liberi, l’uno grazie all’altro».
Aldo Rapè non è nuovo al genere , visto che ha firmato in precedenza «Ad un passo dal cielo, w la mafia»: stavolta ha deciso di raccontare, senza mezzi termini, un mondo i cui drammi interiori e familiari non vengono mai esternati o pubblicizzati. Anche per questo motivo sono stati scelti spazi non usuali, vedi appartamenti civili o piccole associazioni, dove si avverte più forte la tensione.
Si. T.
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