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LA POLEMICA. L’epilogo sull’eredità di don Puglisi a Brancaccio

data articolo 25/09/2008 autore La Repubblica categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo de La Repubblica
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Amaro epilogo a Brancaccio sull' eredità di padre Puglisi. Tanto che bisogna chiedersi che cosa sia rimasto oggi in città della sua testimonianza di un uomo di fede e del suo metodo d' intervento sociale. La notizia della sostituzione di don Golesano, successore di don Pino nella guida della parrocchia di Brancaccio, è solo l' ultimo atto di un evidente conflitto tra lo stesso Golesano e il responsabile del Centro sociale Padre nostro. I quali, ciascuno a suo modo, ritenevano di continuare l' opera pastorale e sociale del «prete povero» di Brancaccio assassinato dalla mafia. Parlare di questa eredità è operazione assai difficile e delicata perché attiene alla complessità della realtà problematica dei quartieri di frontiera della nostra bella e terribile città. Per questo è inderogabile il senso di responsabilità per non negare, o anche solo sottovalutare, nulla di quello che si è fatto e si continua a fare nel campo della promozione umana e civile, anche con metodi che in tempi non sospetti hanno lasciato oggettivamente perplessi. Né è utile e conducente aderire a forme di partigianeria a favore di un contendente o dell' altro. Questa nota e antica “divergenze di vedute” tra i due soggetti imponeva a tutti, compresa la Curia, una più tempestiva richiesta di chiarimento, visto che non era in campo solo la credibilità di alcune persone, ma un patrimonio d’idee ed esperienze che, per la loro originalità ed efficacia pastorale e civile, hanno nella sostanza determinato il dramma dell’eliminazione fisica di un povero prete che, al di fuori del suo impegno, si autodefiniva “insignificante”. Allora non si trattava di fare il processo a qualcuno, ma di “rileggere” tutte le attività dal Centro e dalla parrocchia alla luce dell’eredità di don Puglisi. Era anche possibile leggere i segni dell’allontanamento di alcuni protagonisti dell’esperienza di Brancaccio perfino dalle manifestazioni sempre più istituzionalizzate, nel senso peggiore del termine, e osservare lo stile e la cultura dell’intervento del sociale di chi lavora nel delicato mondo dell’impiego sociale associazionistico e volontaristico che deve misurare ogni giorno la sua reale libertà. A chi con l’atteggiamento dell’amico bonario sempre presente nei nostri quartieri di periferia, assicurava che una richiesta alle persone giuste avrebbe risolto tutti i suoi problemi, padre Puglisi rispondeva con i questionari in piazza sulle gravi carenze del quartiere e con le assemblee popolari: non negano la necessità di un rapporto con le amministrazioni, ma tracciando in questo modo un confine netto, chiaro e trasparente tra istanze di cittadini e favori. Da questo punto di vista il rigore nella conduzione di attività sociali deve essere massimo proprio perché l’eventuale discredito va ben oltre le singole persone e associazioni seminando delusioni e senso di ineluttabilità sulla possibilità di un reale cambiamento. In questo senso, i conflitti d’interesse e la sistematica violazione delle regole dell’opportunità possono avere effetti devastanti. Quindi, fuori dai denti: è stata un grave errore, sul piano dell’opportunità e della sensibilità democratica, la nomina di don golesano come consulente del presidente della Regione con la sua scrivania nel centro della più potente macchina clientelare della Sicilia. Ma non è stato da meno il ruolo di consulente fisso di diverse amministrazioni comunali dell’influente esponente del centro Padre nostro, Antonio Di Liberto, indipendentemente dal fatto che a nominarlo sia stata un’amministrazione di centrosinistra o di centrodestra, compresa quella del sindaco Cammarata, i cui sfasci prodotti in ambito sociale sono sotto gli occhi di tutti. E che dire della Fondazione, gentile cadeau del presidente Cuffaro, che dava a Golesano uno strumento autonomo, discutibile sul piano dell’intervento sociale secondo il metodo Puglisi, probabilmente con l’intenzione di liberare i nuovi responsabili del Centro, in violazione della norma statutaria che assegna la presidenza del Centro al parroco pro-tempore di Brancaccio? E qualcuno ricorda i buoni auspici del governo Cuffaro perché il Centro Padre nostro, come altri centri studi e fondazioni di altre “parrocchie”, potesse avere un finanziamento fisso nel bilancio regionale: una cultura della concessione politica, che disattende un preciso articolo della vigente di riforma in materia dei contributi alle attività culturali antimafia. Nulla togliendo alla buona fede dei protagonisti – e senza negare quanto di buono si è fatto a Brancaccio – resta appunto da capire quanto il metodo applicato sia coerente con l’eredità di don Pino Puglisi. Giovanni Abbagnato

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