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Padre Puglisi: 13 anni fa il martirio del prete che tolse prestigio ai boss

Anniversario. Il 15 settembre del 1993 un killer attese il sacerdote sotto casa e poi gli sparò un colpo alla nuca – Il movente: don Pino con ostinazione strappava i bambini all’illegalità. In corso la causa per la sua beatificazione

data articolo 15/09/2006 autore Giornale di Sicilia categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo del Giornale di Sicilia
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PALERMO. (altu) «Un religioso austero e rigoroso, non contemplativo,ma calato pienamente nel sociale, immerso nella difficile realtà del quartiere». Sono i giudici stessi, nelle motivazioni della sentenza di condanna degli esecutori del delitto, a raccontare chi era don Pino Puglisi. Un sacerdote che predicava il Vangelo, formava le coscienze nella verità, promuoveva la carità e l’attenzione agli ultimi. Per questo fu ucciso don Puglisi, nel giorno del suo 56~ compleanno, sotto la sua abitazione di piazzale Anita Garibaldi, a Palermo. La sua «condanna a morte» fu ordinata dai boss di Cosa nostra, divenuti intolleranti davanti ad un sacerdote, piccolo di statura ma gigante nella fede, che sottraeva nuova manovalanza alla mafia, lottando per l’istituzione di una scuola media nel quartiere di Brancaccio, togliendo i ragazzini dalla strada. Il 29 gennaio 1993 don Puglisi inaugurò a Brancaccio il centro «Padre Nostro», che diventò il punto di riferimento peri giovani e le famiglie del quartiere. E questo «sgarro» non fu perdonato. La sera del 15settembre 1993 trovò ad attenderlo il killer Salvatore Grigoli, che si è poi autoaccusato del delitto e di decine di altri omicidi ed ha intrapreso un cammino di conversione. E’ stato lui stesso a raccontare le ultime parole che don Pino pronunciò prima essere ucciso: un sorriso e poi un criptico «me lo aspettavo». Grigoli, che era insieme a un altro killer, Gaspare Spatuzza, gli sparò un colpo alla nuca. Per il delitto di don Pino mandanti ed esecutori sono già stati condannati in Cassazione. Ergastolo ai boss Giuseppe e Filippo Graviano. Sedici anni a Grigoli, collaboratore di giustizia. Ergastolo anche per gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete: Gaspare Spatuzza, Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e l’allora reggente della cosca Nino Mangano. Il sacerdote strappava i bambini al fascino dell’illegalità e, perciò, toglieva prestigio ai boss. Nelle battaglie per i diritti negati don Pino è sempre in prima fila. Non lo intimidiscono le minacce, le aggressioni fisiche, i messaggi trasversali. L’unica precauzione che prende è quella di tener lontani da sé, per proteggerli, i giovani volontari della parrocchia, le suore alleate e il giovane viceparroco. Come se sapesse di dover morire. E in qualche modo il racconto di Grigoli confermerebbe questo presentimento. Anche su questa consapevolezza di andare incontro alla morte si basa il processo di beatificazione «super martyrio», concluso nella sua fase diocesana nel maggio 2001. Nello scorso mese di maggio la Commissione teologica della Concrezione per le cause dei santi, dopo l’esame della «positio», ha chiesto un approfondimento ulteriore. Si vuole accertare se la pistola di Salvatore Grigoli abbia sparato veramente in odium fldei, ossia in avversione nei confronti della fede, e se, quindi, don Puglisi possa essere considerato un martire. Il cardinale Salvatore De Giorgi, che oggi alle 19 aprirà il nuovo anno pastorale commemorando don Puglisi, auspica che la conclusione dell’ iter possa avvenire positivamente nel minor tempo possibile. E ha già incassato il parere favorevole della Congregazione per la traslazione del corpo di don Pino nella parrocchia di San Gaetano a Brancaccio. Chi ha conosciuto quel piccolo sacerdote ostinato e fedele al Vangelo ha già dato per scontato il buon esito del processo di beatificazione. Ma anche chi lo ha imparato ad apprezzare attraverso i libri, i convegni e i film, che si sono moltiplicati sulla vita e sull’esempio di don Puglisi, non può fare a meno di considerarlo un esempio. Le gerarchie ecclesiastiche non perdono occasione per additare don Pino come l’emblema di quel sacerdozio missionario capace di «donami e spendersi quotidianamente per condurre tutti nell’ unico gregge del Signore», come ha ricordato pochi mesi fa il cardinale Camillo Ruini nella sua prolusione all’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, paragonando don Pino Puglisi al Buon Pastore. Che in fondo è quello che «3P» stesso diceva: “Non sono un biblista, non sono un teologo, nè un sociologo, sono soltanto uno che ha cercato di lavorare per il regno di Dio». Alessandra Turrisi

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