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Brancaccio replica al regista Faenza

data articolo 06/12/2003 autore La Repubblica categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo de La Repubblica
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Maurizio Artale Margherita Francomano Don Mario Golesano Gaetano Pagano Giuseppe Sicari Palermo Siamo rispettivamente un membro del centro sociale Padre Nostro, il dirigente scolastico della direzione didattica Orestano, il parroco di San Gaetano di Brancaccio, il dirigente scolastico dell'istituto Padre Pino Pugliesi e un membro dell'associazione "Quelli della rosa gialla". Se il regista Roberto Faenza non avesse già realizzato film di successo (uno fra tutti, il bellissimo "Sostiene Pereira")verrebbe quasi da pensare che le sue dichiarazioni sul quartiere di Brancaccio, a proposito del film che sta girando sulla vita di padre Pino Pugliesi, siano state rilasciate con lo scopo di alimentare -come spesso accade -un banale battage pubblicitario per la promozione del film. E' vero. Brancaccio è un quartiere difficile, attraversato quotidianamente dalle tante tragedie esistenziali vissute da quanti sono, o si sentono, ai margini della civile convivenza. E' pervaso dalla fuliggine di una illegalità, esplicitata o meno ma certamente diffusa, è caratterizzato dalla contraddittoria compresenza dei tanti che pretendono una maggiore attenzione dai poteri locali e centrali (servizi e infrastrutture) e dei pochi che, invece, vorrebbero continuare a imporre la prevaricazione e la violenza. Non occorreva certo un grande regista cinematografico per scoprire i disagi del quartiere. O, meglio, non appariva propriamente necessario che venisse un grande regista cinematografico per strumentalizzare tale difficile situazione ambientale, spingendosi in affermazioni assai pesanti a proposito del successore di padre Pino Pugliesi ("Ci ha detto che era meglio fare il film tra vent'anni…..Abbiamo capito il messaggio) e dello stato di abbandono in cui versano i più giovani ("E' scandaloso vedere come lo Stato ha abbandonato questi ragazzi che non conoscono nemmeno l'italiano"). Per dovere di cronaca occorre allora precisare che il successore di padre Pino Pugliesi, don Mario Golesano, ha pronunciato la frase, che si vorrebbe caricare di significati reconditi e minacciosamente oscuri, nel corso di un incontro tra il regista e la gente del quartiere di Brancaccio organizzato nei locali dell'istituto Padre Pino Pugliesi nell'intento di consentire e promuovere una lettura della realtà sociale a tutto vantaggio dell'autore cinematografico. E questo non pare possa proprio leggersi come un segnale di avversione e di ostacolo. Frase ("Questo film si dovrebbe fare fra vent'anni") che intendiamo, ancora una volta con forza e solidamente, confermare nel senso che tutti (tranne il regista) in quella sede hanno dato e cioè: sarebbe stato più bello che questo film si fosse girato tra vent'anni a memoria del prete ucciso dalla mafia per sollecitare la società civile e politica a verificare quanto nel frattempo si è realizzato da parte della scuola , della chiesa, del volontariato. Chi non potrebbe condividere tale pensiero. O il regista Faenza pensa che basta qualche visita di un politico oppure realizzare una fiction televisiva sul prete assassinato dalla mafia per risolvere i problemi di Brancaccio in pochi anni? A proposito poi dei bambini che non parlano la lingua italiano, Faenza ne determina la concausa nel rifiuto da parte delle scuole di insegnare italiano nelle aule. L'affermazione appare, a volere essere non malevoli, assai imprudente e mostra una totale mancanza di rispetto per quanti operano da anni a Brancaccio, all'interno della scuola pubblica e con azioni di volontariato. Avremmo gradito maggiore umiltà di giudizio e un rispetto del lavoro analogo a quello che continuiamo a nutrire verso il suo impegno di regista cinematografico. Da anni la scuola pubblica-seppure tra mille difficoltà e spesso in solitudine- sta operando con testarda determinazione proprio sulla traccia segnata dall'opera di padre Pino Pugliesi (che per la costruzione di una scuola a Brancaccio è stato ammazzato dalla mafia) caratterizzata dall'attenzione e dall'ascolto dell'altro, dalla comprensione dei bisogni e non dalla eclatante e demagogica denuncia. Nel silenzio, lavorando giorno dopo giorno (ad esempio la dispersione scolastica del quartiere è scesa da cifre superiori al 20 per cento a circa il 7). Queste cose le conosce il regista Faenza? Crede forse che abbiamo recuperato i bambini alle aule solo perché questi hanno visto in televisione la storia di padre Pino Puglisi? La realtà, la triste e amara realtà, per quanti quotidianamente lavorano a Brancaccio tra tanti disagi e compartecipata sofferenza è che molti scoprono il quartiere solo per piegarlo alle proprie irrefrenabili voglie di passerella. Aveva proprio ragione l'antropologo Vine Deloria jr., un indiano d'America che assai amaramente affermava a proposito del suo disgraziato popolo: "Ognuno deve portare la sua croce. Alcuni sono nati sotto una cattiva stella, altri hanno rovesci finanziari…Ma gli indiani sono i più disgraziati di tutti. Gli indiani hanno gli antropologi". La gente di Brancaccio ha i registi cinematografici?

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