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Centro di Accoglienza Padre Nostro - ETS
Fondato dal Beato Giuseppe Puglisi il 16 luglio 1991. Eretto in ente morale con D.M. del 22.09.1999
Centro di Accoglienza Padre Nostro Onlus

I ragazzi di Puglisi

Viaggio a Brancaccio, nel centro sociale "Padre Nostro", tra i giovani che erano al suo fianco e tra quelli che hanno raccolto la sua eredità, continuandone l'opera

data articolo 14/09/2003 autore Famiglia Cristiana categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo di Fammiglia Cristiana
Articolo di Fammiglia Cristiana
Un buffetto sulla guancia, dieci anni fa, è il ricordo più forte di Ivana legato a padre Pino Puglisi: " Eravamo un centro di riabilitazione, noi assistenti sociali stavamo in mezzo a tanti ragazzi disabili. C'era libertà e semplicità d'animo. Lui, don Pino, pronunciava frasi che mi toccavano il cuore. A un certo punto mi misi a piangere. Padre Puglisi mi notò in mezzo a tutti, si avvicinò e mi toccò la guancia: un contatto, un gesto di attenzione che non dimenticherò mai più". In quel buffetto, in quella tenerezza, c'è tutto don Puglisi, il sacerdote assassinato dalla mafia il 15 settembre di dieci anni fa, la sera del suo 56° compleanno. Padre Pino Puglisi era così: sempre impegnato ma sempre disponibile, ovunque in grado di leggere nelle profondità degli animi. Ivana Mannone oggi ha 30 anni e lavora a tempo pieno al centro "Padre Nostro". Ci guida tra le stanze della palazzina, il faro di Brancaccio, tra cartelle piene di progetti addensate tra gli scaffali. Mostra orgogliosa la biblioteca: Le avventure di Tom Sawyer l'isola del tesoro per fantasticare, fiabe per sognare, le salette del doposcuola e dei corsi per diploma, il cucinino che distribuisce cento pasti al giorno, il piccolo patio in tufo con il forno, "per insegnare ai bambini che il seme, della spiga, diventa pane", affacciato sul giardino di ulivi e limoni. In questa che forse è l'unica macchia verde di Brancaccio, la borgata di Palermo alle falde del Monte Grifone, ex regno del boss Michele Greco, tutta falansteri di cemento, puglisi passeggiava e pregava coi ragazzi, verso sera. Quel giardino è stato il suo Getsemani, qui pregò anche poche ore prima della sua morte, quando il chiller di Cosa nostra lo ammazzarono sotto casa, in piazza Anita Garibaldi, e gli rubarono la marca da bollo della patente. Ivana è uno di quei giovani che ha tenuta alta la bandiera del centro, che ha fatto diventare pane il seme di quel piccolo prete. Come Mimmo De Lisi, anch'egli assistente sociale: conobbe quel piccolo prete coraggioso quando aveva 16 anni. L'incontro avvenne in chiesa, o meglio nello scantinato adibito a chiesa. Don Puglisi non era tipo da scoraggiarsi: unneghiè armava missa, ovunque celebrava messa, si diceva di lui. Su un masso di montagna, in un prato o sulla riva di una spiaggia. Figuriamoci se si fermava davanti a uno scantinato. Gli striscioni dei cortei antimafia In quel garage semibuio (oggi auditorium "Giuseppe Di Matteo") don Puglisi diceva messa, aiutava a preparare gli striscioni dei cortei antimafia("Brancaccio dice si alla vita no alla mafia", e "Il voto di scambio uccide le coscienze"), organizzava recite per ragazzi, promuoveva dibattiti, invitava i mafiosi a redimersi, richiamava i politici locali, che alle recite sedevano in prima fila, alle loro responsabilità, accusandoli senza pudori ( "ma non vi vergognate di stare qui e non fare niente per Brancaccio…"). E' così che pronunciò la sua condanna a morte. "Quel prete rompeva le scatole", disse al processo uno dei picciotti incaricati dell'esecuzione. "Mi accolse con ancora addosso i paramenti sacri e un sorriso", ricorda Matteo. Lo stesso sorriso che rivolse al suo assassino, Salvatore Grigoli, quella sera del 15 settembre 1993. Palermo e la Chiesa siciliana si preparano a celebrare la figura di questo sacerdote-martire, ormai legato a Falcone e Borsellino. Tre nomi simbolo della legalità, di una stagione di sconfitte ma anche della riscossa della società civile palermitana. "Quando padre Pino morì ci fu un senso di smarrimento", ricorda Mimmo, "quel sacerdote aveva fatto nascere nel quartiere un'attenzione verso gli ultimi che non c'era mai stata. Molti palermitani nemmeno sapevano che Brancaccio faceva parte di palermo. A Brancaccio non c'era niente. Dallo scantinato prendevamo le porte del campo di calcio, le portavamo alla scuola elementare "Francesco Orestano" e al termine della partita le riportavamo nello scantinato per non farle rubare". "La prima cosa che ti colpiva", aggiunge Anna Federico, segretaria del centro, "era il via vai di gente: entravi, e venivi travolta da una furia di bambini che uscivano, tra uomini e donne di ogni età che andavano e venivano. Ma era una confusione voluta da padre Puglisi, che infatti non era mai confuso. Noi abbiamo cercato di conservare quest'anima, specie con i bambini". Oggi qualcosa è cambiato Don Puglisi diceva che con i bambini si può lasciare un segno, puoi strapparli al loro destino di picciotti di Cosa nostra. "Dopo la sua morte", ricorda mimmo, "molti operatori se ne andarono, ci fu un senso di smarrimento e di paura". Ma il seme continuava a germogliare. Altri arrivavano. Come Maurizio Artale, 40 anni, un magistero in scienze religiose, nominato pochi giorni dopo l'assassinio responsabile del centro dal nuovo parroco Mario Golesano. "All'inizio fu dura, ci ritrovammo in pochi. Poi ricominciammo, anche attraverso il dialogo con le istituzioni, nello spirito di Puglisi. Partimmo con il doposcuola, poi arrivarono le colonie estive: ne abbiamo fatte 18 in dieci anni". A Brancaccio in dieci anni qualcosa è cambiato: oggi c'è una palestra, una scuola media, una biblioteca. "Ma resta molto da fare", conclude Artale. " qui sono venuti tutti i politici, miliardi di promesse, ma sul quartiere non c'è ancora un progetto: un campo di calcetto, un auditorium, un centro di assistenza. Ci hanno donato un palazzo che vorremmo attrezzare a ricovero, ma i beni culturali hanno bloccato tutto. Chissà se usano lo stesso zelo con le palazzine abusive dei mafiosi". Francesco Anfossi

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