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Lotta alla piovra. La mafia teme ancora don Puglisi

Viaggio nel cuore di Brancaccio. Un film racconterà la sua storia

data articolo 06/08/2003 autore Avvenire categoria articolo RASSEGNA
 
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Articolo di Avvenire
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"Il prete che spara dritto", lo chiamavano. A don pino, forse, non sarebbe piaciuto essere ricordato come uno che "spara". Ma i picciotti di Brancaccio misurano così il calibro di un uomo. E questo sarà anche il titolo del film che a partire da ottobre Roberto Faenza girerà in Sicilia, a dieci anni dall'uccisione del sacerdote. "L'uomo che sparava dritto" sarà interpretato da Luca Zingaretti. Un lungometraggio che arriva quando la pressione mafiosa contro gli eredi di don Pino torna a farsi minacciosa: intimidazioni, danneggiamenti, contestazioni plateali. A volte sembrano solo bravate. "Cose da picciotti", provano a giustificare nel quartiere che fu dei fratelli Graviano e che ora è governato da Giuseppe Guttadauro, il medico diventato boss. Ma la smaccata impunità e il consenso con cui le cose da picciotti si ripetono fanno pensare ad altro, a una strategia fatta di piccoli ma insistenti segnali. Come la rapina e la violenta aggressione a don Mario Golesano, successore di Puglisi nella parrocchia di San Gaetano. In un quartiere dive nessuno può neanche bucare una gomma senza il placet degli "uomini di rispetto", don Mario la settimana scorsa è stato derubato e aggredito. In pieno giorno. Ha chiesto aiuto, ma lo hanno lasciato sulla strada in balia di un delinquente. Come gli attacchi al Centro Padre Nostro: la porta murata con mattoni e cemento un mese fa, gli incendi a cadenza annuale, le incursioni di strani vandali che non rubano, ma distruggono mobili e computer; i motorini rubati al capo dei volontari. Quella che si combattono per i vicoli di Brancaccio è la battaglia dei gesti. Diceva don Pino: "Le nostre iniziative devono essere un segno. Non sono qualcosa che può trasformare Brancaccio. Questa è un'illusione che possiamo permetterci".

A dieci anni dai colpi esplosi dal killer Salvatore Grigoli il Centro Padre Nostro, che don Pino inaugurò di persona, è ancora lì. Con i suoi giovani, i volontari, le donne che chiedono da mangiare per i figli e tanti bambini, quelli che una volta gridavano "Viva la mafia" ed ora giocano a pallone in parrocchia. A Brancaccio però, c'è chi la notizia di un altro film non l'ha presa bene. I nuovi picciotti girano per le strade in moto. A loro modo eleganti con quei completi di lino tutti uguali, stazionano nel quartiere da mattina a sera: "Non c'è lavoro che dobbiamo fare". Passeggiano, vigilano, controllano, si fanno notare. Sanno se nella borgata entrano ed escono forestieri, a volte pellegrini verso la chiesa di don Pino,altre volte giornalisti o sbirri. A loro non sfugge niente. E sono capaci anche di darti il benvenuto, di offrirti da bere. A camminare per i vicoli sembra che Brancaccio non sia cambiato così tanto. Dai cassonetti dell'immondizia perennemente scoperchiati, agli scantinati dei palazzoni di via Hazon. Una zona franca dove anche i più piccoli assistono nel buio nascosto ad ogni genere di malaffare: spaccio di droga, prostituzione, lotte tra cani, commercio abusivo. Una palestra dove addestrare gli uomini d'onore di domani.

Roberto Faenza precisa che lui vuole raccontare in immagini chi era e che cosa ha fatto don Pino per la gente della sua città. Un contributo per capire meglio la vicenda di un uomo di Chiesa che a chiamarlo prete antimafia gli si farebbe un torto. Il regista ha già fatto più di un sopralluogo a Palermo ha ascoltato gli amici, i discepoli, gli animatori dei centri nati dall'impulso del prete martire. Il set probabilmente non arriverà mai a Brancaccio, quartiere logisticamente inaccessibile. Non vuole svelare troppo Faenza, si limita a riferire che sarà "un film su don Puglisi, sulla sua vita e sulla sua morte". Già, la vita. Trentatré anni di sacerdozio di cui tre anni a Brancaccio, il resto tra parrocchie difficili e il seminario arcivescovile, dove ha formato le nuove leve del clero palermitano. Intanto qualcosa si muove.

Adesso, rammenta Francesco Deliziosi, per esempio "c'è il carabiniere di quartiere ed anche la scuola media che don Pino chiese invano per anni". Deliziosi è uno dei giovani formati da padre Puglisi. Adesso fa il giornalista e al suo padre spirituale a dedicato una biografia pubblicata da Mondatori. Ricorda un episodio: "Fu un bambino di Brancaccio ad alzarsi in piedi nel corso di un'assemblea e chiedere al comandante dei Carabinieri l'arrivo del maresciallo di quartiere". Fu una specie di rivoluzione. Qualcuno anche allora disse: "Cose di picciotti sono, picciriddi". Ma forse fu un miracolo di don Pino: per una volta a Brancaccio un bambino che "parla dritto". Nella Scavo Chi era Giuseppe Puglisi, prete in prima linea Nasce a Palermo il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta . Entra in seminario nel 1953 e viene ordinato sacerdote il 2 luglio 1960. Nel 1961 è vicario cooperatore presso la parrocchia del santissimo Salvatore nella borgata di Settecannoli, a ridosso di Giovanni dei Lebbrosi. Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese palermitano sconvolto da una feroce faida. Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del seminario minore di Palermo e il 24 novembre dell'anno seguente direttore del Centro diocesano vocazioni. Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a Brancaccio, e nel 1992 assume anche l'incarico di direttore spirituale del seminario. Il 29 gennaio 19993 inaugura a Brancaccio il centro "Padre Nostro". Lo uccideranno il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno. Nel 1999 il cardinale di Palermo, Salvatore De Giorgi, ha insediato il Tribunale ecclesiastico per la causa di beatificazione. Don Pino è ora Servo di Dio. Spetterà nei prossimi mesi alla Santa Sede pronunciarsi sulla sua beatificazione.(N.S.) Un sacerdote martire "E' stato per anni impegnato nella battaglia per strappare territorio alla Piovra e restituire una speranza alle persone per bene. A un decennio dalla sua barbara esecuzione, continua ad essere un esempio per chi non vuole mollare. I suoi ragazzi proseguono l'attività. Siamo l'unica alternativa alla strada". Il successore don Mario Golesano: ma qui non è tutto cosa nostra Se non fosse un quartiere di Palermo Brancaccio sarebbe di sicuro un comune a sé. Una enclave schiacciata dai palazzoni della nuova residenzialità popolare, stretta tra le borgate di Ciaculli, Settecannoli, Guadagna e Falsomiele. Dal quartiere si entra e si esce dopo aver superato un passaggio a livello:la dogana di Brancaccio. In tutto ottomila abitanti. "Un terzo sono persone per bene, che credono contro ogni speranza; un altro terzo è costituito dal popolo degli indifferenti, quelli che vivono nella zona grigia tra mafia e menefreghismo, poi ci sono le famiglie mafiose, quelle che sommandosi al terzo di indifferenti fanno pendere la bilancia di Brancaccio dalla parte della disperazione". Don Mario Golesano tinteggia così l'identikit del suo quartiere. E' lui il sacerdote cui dopo due giorni dopo l'esecuzione di Padre Puglisi affidarono la parrocchia di San Gaetano. "Ecco, fino a quando qui ci sarà quel terzo di persone che decide di seguire, a spese di gravi rischi personali, la via tracciata da don Pino io resterò qui". Il parroco la settimana scorsa è stato rapinato e aggredito, c'era la folla intorno, ho gridato aiuto, ho reagito, ma nessuno è venuto a difendermi. Però don Mario non si sente solo. La parrocchia di San Gaetano è insieme luogo sacro e presidio a tutela della dignità della persona. Lo sanno bene i volontari del Centro Padre Nostro. Che dobbiamo fare-dice il coordinatore Maurizio Artale -gliela dobbiamo dare vinta così?E poi ci sono troppe speranze in ballo. La parrocchia è l'unico centro di aggregazione del quartiere. In compenso la piazza che ospita il monumento di don Pino è diventata un letamaio. Artale chiude la porta del suo ufficio. Sussurra: Ho paura che a Brancaccio si sia normalizzando tutto. In apparenza non accade nulla, e così, se succede qualcosa non si capisce bene se si tratta di ragazzate o di segnali di Cosa Nostra. Il coraggio di guardare avanti, però, supera i timori. I nostri centri sono frequentati abitualmente da 120 bambini e 80 tra anziani e adulti. Uno schiaffo alla mafia. Quello che noi stiamo seminando è il senso della corresponsabilità-dice don Mario-. Sono i laici a gestire la parrocchia. Vengono anche a tarda sera, sanno di rischiare ritorsioni, ma loro credono nel riscatto di Brancaccio. Noi anche. Quello che manca è il ruolo delle istituzioni. Maurizio Artale quasi si dispera quando parla delle promesse dei politici: il centro polivalente, la ristrutturazione dell'auditorium, la riqualificazione di via Hazon. Niente, solo parole, lo Stato non ha saputo cogliere la sfida. Noi però resistiamo-promette don Mario-. Troppo grande l'esempio di don Pino e la voglia di cambiamento di molte persone. Alla mafia non regaleremo la resa delle speranze. Nello Scavo La pellicola "L'uomo che sparava dritto" Probabilmente, in un primo momento, saranno in molti a chiedersi se "l'uomo che sparava dritto" del film di Roberto Faenza è don Pino Puglisi, che si rivolgeva senza mezzi termini alla gente di Brancaccio, a quelli che sarebbero diventati i suoi giovani, o al suo assassino. In realtà l'interrogativo è di quelli che lasciano il tempo che trovano. Perché ciò che conta è la volontà di Faenza di realizzare un film su don Puglisi, sulla sua vita e sulla sua morte. Un film che racconti chi era e che cosa ha fatto per la gente di Palermo. Faenza inizierà a girare tra un mese circa. Il cast è ancora da chiudere ma già si sa che a vestire i panni di don Puglisi sarà Luca Zingaretti. In realtà non è la prima volta che si realizza un film sulla vita del sacerdote. Lo ha già fatto, un paio di anni fa, Gianfranco Albano, che per Rai Fiction e Tangram Film, ha diretto "mille giorni a Brancaccio" (scritto da Pietro Calderoni e Gualtiero Rossella) con Ugo Dighero e Beppe Fiorello, rispettivamente nei panni di don Puglisi e del suo assassino. Ma il film su Raduno, non piacque molto ai diretti interessati, ai ragazzi del Centro Padre Nostro che lo trovarono distante dalla realtà che , dicono oggi, e perfino peggio. Come del resto aveva ammesso lo stesso Albano, dicendo di non aver voluto fare un film su don Puglisi, ma un film ispirato alla storia Le intenzioni di Faenza sembrano andare nella direzione opposta. Tiziana Lupi Dall'Albergheria allo Zen brillano le luci. Le tante iniziative germogliate nei quartieri difficili di Palermo: dalla lotta all'emarginazione al riscatto sociale Tra i ruderi del Borgo Vecchio e le catapecchie dell'Albergheria, tra i palazzi-dormitorio dello Zen e i vagoni della stazione centrale, brillano le luci di Palermo. Il Cardinale Salvatore De Giorgi ama chiamarle così quelle realtà associative nate attorno a sacerdoti e laici di buona volontà, che come terra di missione hanno scelto la frontiera. Piccoli centri sociali, che giorno dopo giorno, con l'aiuto dei volontari, si sono trasformati in punti di riferimento per quei quartieri in cui manca tutto. Uno spirito d'iniziativa che a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta ha creato luoghi di ritrovo alternativi alla strada per i bambini, centri di aggregazione per donne in difficoltà, immigrati disorientati in una terra straniera. Poi è cominciata la stagione delle stragi di mafia e l'idea di togliere manovalanza alla criminalità è diventato un obiettivo comune. Nasce per sconfiggere la cultura della violenza, nel 1984, l'associazione "Dipingi la Pace" al Borgo Vecchio. Don Paolo Turturro brucia le armi giocattolo in strada e insegna ai bambini con i genitori in carcere che non è quello il loro futuro: per costruirsi un avvenire devono frequentare la scuola, fare sport, imparare un lavoro onesto. Così fa anche don Baldassare Meli, il salesiano responsabile del centro Santa Chiara all'Albergheria, nel cuore del centro storico, diventato negli ultimi 17 anni il difensore dei diritti dei minori e degli immigrati. Negli Ottanta il centro diventa un punto di riferimento per quel pezzetto di Africa trapiantato a Palermo: offre assistenza sanitaria, consulenza legale, un servizio d'asilo per i bambini, pasti caldi a chi è senza un tetto. Nel 1996 scoppia lo scandalo dei pedofili dell'Albergheria, orrori scoperti e denunciati dai salesiani che si occupano dei bambini del rione che frequentano l'oratorio. Un quartiere dove opera da 15 anni anche il centro sociale San Saverio, diretto da don Cosimo Scordato, che svolge un lavoro di formazione e assistenza rivolto alle donne, agli anziani, ai giovani. Da un paio d'anni anche la Caritas diocesana ha impiantato il suo quartier generale in questa zona. A poche centinaia di metri, alle spalle della Stazione centrale, il missionario laico Biagio Conte negli ultimi dieci anni ha trasformato un ex sanatorio in un hotel a cinque stelle per cento fratelli ultimi. Si tratta di barboni, che lì hanno trovato una casa. Ma la missione Speranza e Carità ha raddoppiato, aprendo una casa per donne in difficoltà e perfino triplicato, trasformando un ex caserma dei carabinieri nella Cittadella del Povero.

Alessandra Buscemi

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