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Centro di Accoglienza Padre Nostro - ETS
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Centro di Accoglienza Padre Nostro Onlus

PASSI DI CIVILTĄ: percorsi alternativi per una ri-definizione della detenzione femminile

Una ricerca condotta dal Centro di Accoglienza Padre Nostro. In questo articolo la presentazione a cura di Maria Pia Avara

data articolo 09/06/2013 autore Maria Pia Avara categoria articolo ARTICOLI
 
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Copertina del libro Passi di Civiltą
Copertina del libro Passi di Civiltą

La propettiva che mi ha guidato nel collaborare alla realizzazione di quest’opera è stata la mia esperienza in qualità di psicologo clinico e di comunità, che coordina a Palermo una struttura di accoglienza per donne vittime di maltrattamenti e violenza, anche accompagnate da figli minori.Questa esperienza mi ha fatto toccare con mano quanto fondamentale possa essere la relazione madre-bambino per far sì che la donna riprenda in mano la propria vita e recuperi spazi di progettualità, superando i drammi e i traumi che l’hanno condotta a doversi allontanare da situazioni di disagio e violenza o a delinquere. Nonostante tratti uno tra i drammi del sistema penitenziario, ovvero la reclusione di bambini da zero a tre anni, che accompagnano le madri, imputate o condannate, in carcere, Passi di civiltà è un libro positivo e propositivo, perché descrive un’esperienza reale – e dunque possibile e replicabile – di presa in carico del problema della detenzione di madri con minori di età inferiore ai tre anni, l’ICAM - Istituto a custodia attenuata per detenute madri - di Milano.
L’Icam è formalmente una sezione staccata dell’Amministrazione Penitenziaria, ma dal punto di vista logistico, organizzativo e funzionale, la strutturazione degli spazi e delle attività risponde a precisi criteri pedagogici, a cominciare dalla formulazione di un’idea di “casa”. L’ICAM è un luogo dove madri e figli possono vivere, godendo di spazi riservati e di locali comuni, reso accogliente dalla scelta dei colori e degli arredi. Questa particolarissima “casa” è composta da ambienti comuni e locali privati, le camere di pernottamento, e consente alle detenute-ospiti e ai bambini di avere spazi e tempi sia condivisi che intimi. Gli ambienti sono strutturati, arredati e corredati in modo da essere “a misura di bambino” e la struttura è collocata nelle vicinanze della città, dove i servizi di rete e i servizi alla persona, all’infanzia e alla famiglia sono facilmente raggiungibili, in cui vi sono spazi verdi e parchi gioco. Nel libro sono contenute numerose fotografie della struttura e una piantina, che fanno comprendere con immediatezza quanto tali aspetti siano funzionali agli obiettivi da raggiungere. Anche a chi di carcere sa poco, sarà evidente la differenza con un ambiente carcerario, le cui caratteristiche hanno un impatto drammatico, specie se il carcere rappresenta il primo ambiente di vita nel quale il bambino costruirà la sua identità: il carcere, con i tipici rumori, gli odori, i colori – o i non-colori – con le relazioni, le difficoltà, le angosce di coloro che lo abitano. L’ICAM deve certamente conciliare le esigenze di custodia delle madri con l’attuazione di misure atte a garantire le condizioni minime per uno sviluppo sano ai loro figli e rappresenta la dimostrazione concreta che ciò è possibile. Prova ne è che, compatibilmente con le garanzie di sicurezza, si è cercato di ridurre la visibilità di sbarre e blindature e di quanto rimandi ad un carcere.
Francesca Corso, già Assessore alla Provincia di Milano, con delega alle carceri, che ha dato vita all’ICAM milanese, ha portato, nella stesura di Passi di civiltà, la sua esperienza, ma anche la sua passione, passione necessaria per intraprendere un percorso sperimentale e dimostrare che lo stesso costituisce un modello esportabile anche in altre realtà. La sua generosità ci ha consentito di conoscere – e far conoscere al lettore – le procedure da attuare per l’attivazione di un ICAM. Pensate il testo contiene documenti e prototipi delle convenzioni e dei protocolli d’intesa necessari all’attivazione di una struttura a custodia attenuata. Il funzionamento dell’ICAM, nel rispetto delle esigenze di escuzione della pena e di sicurezza, lo avvicina a quanto ho direttamente sperimentato nel coordinamento di una struttura di accoglienza per donne e minori, perché il modello educativo mira a favorire l’acquisizione, da parte delle detenute madri, di competenze e strumenti idonei a supportarle nel ruolo genitoriale.
Snodo fondamentale dell’intero progetto è l’implementazione dei processi di responsabilizzazione nella relazione madre-bambino e di rafforzamento dell’autonomia. Il modello di intervento introdotto dall’Icam valorizza il ruolo rieducativo che, oltre ad essere necessaria per lo sviluppo del minore, può esercitare la relazione madre-bambino per la donna che deve scontare la pena. Un ruolo che può essere risanante e dare un senso ancor più profondo alla pena stessa. Naturalmente, si tratta di madri che vivono forti difficoltà e che vanno supportate, affinchè recuperino parti sane di sé e le utilizzino per svolgere le funzioni genitoriali. Se è vero che la società civile, la politica, le istituzioni sono chiamate a dare una risposta al problema della maternità e dei bambini in carcere, stupisce constatare che, ad oggi, l’ICAM di Milano rappresenti l’unica soluzione specificamente pensata e compiutamente realizzata. L’unicità di tale soluzione è stata spesso motivata con il numero, relativamente non ingente, di bambini tra 0 e 3 anni che transitano nelle nostre carceri (non più di 100 negli ultimi anni), ma in realtà, come il nostro testo descrive bene, i dati dell’esperienza dell’ICAM di Milano raccontano un’altra storia. Il testo riporta i dati del Ministero della Giustizia (aggiornati al 31.12.2011), dai quali si registra che le detenute in Italia sono oltre 2.559. Esse sono recluse in 5 istituti esclusivamente femminili e in 52 sezioni femminili, che presentano le problematiche generali che affliggono il carcere, ma che la donna vive con ancora maggiore intensità, perché le carceri sono pensate e strutturate sulle specificità e i ritmi dell’uomo. In questo ambiente e in questo scenario, ad oggi, vivono bambini da zero a tre anni: un ignobile oltraggio alla condizione dei minori. Ma il libro riporta anche altri dati fondamentali. Il numero complessivo di casi transitati all’ICAM dal 2007 al 2011 ammonta a 171 donne e 181 bambini. Questo numero è molto significativo, se consideriamo che nel 2007 l’ICAM è stato avviato con 3 sole donne con bambini provenienti dal carcere di San Vittore e dimostra quanto importante sia stato per le donne detenute poter fruire di una struttura alternativa alla detenzione tradizionale. Se noi, in quanto autori di questo studio, abbiamo chiare le motivazioni dell’interesse per questa problematica, ciò che oggi ci preme trasmettervi sono le ragioni della scelta di questo tema da parte del Centro di Accoglienza Padre Nostro, che lo ha promosso e attraverso il contributo di Maurizio Artale, Laura Stallone, Domenico De Lisi, oltre al mio, ha dato una lettura sociale e psicologica delle numerose implicazioni della condizione femminile, della maternità e della condizione minorile all’interno degli istituti di pena, conoscendo per esperienza diretta, di volontariato in carcere e di accoglienza di donne e minori vittime di abusi e violenze, quanto la relazione madre-bambino vada protetta. Ciò è previsto dall’art. 31 della Costituzione Italiana. La detenzione in un istituto penitenziario della madre e del bambino fa cadere qualsiasi possibilità di attuare tale protezione, oltre a rappresentare un paradosso, poiché, di fatto, si sottopongono all’esecuzione della pena coloro che per antonomasia sono innocenti, e cioè i bambini. Abbiamo, pertanto, deciso di affrontare, in questa chiave, il complesso tema della specifica esperienza che la donna, e ancor di più la donna madre, vive in carcere, la prigionia del corpo e della mente femminile, parlando del “sensoe dei “sensi dell’esperienza madre-bambino in carcere”; è un’esperienza specifica, perché gli effetti negativi sul senso d’identità della persona, si declinano con modalità ed esiti differenti per la detenuta donna rispetto all’uomo.
L’interesse del Centro di Accoglienza Padre Nostro, fondato dal Beato Padre Puglisi, per la condizione minorile e femminile si colloca proprio nella direzione tracciata dalla consapevolezza che i bambini e le donne sono portatori di diritti così fondamentali, da non poter essere disattesi dalla società civile.
Il carattere propositivo - che crediamo Passi di civiltà esprima - vuole connotarsi come un impegno fattivo, che dal mondo del volontariato attinge la concretezza e la stretta concatenazione fra l’attenzione ai bisogni delle persone e la tempestività delle risposte. In tal senso, la formula del presente lavoro, che si ispira al modello della ricerca-azione, rappresenta la volontà di contribuire alla conoscenza necessaria per agire con consapevolezza e senso pratico, in linea con uno degli aspetti centrali della mission del Centro di Accoglienza Padre Nostro, ovvero l’impegno nel sostenere la partecipazione consapevole della comunità tutta alla rete di diritti e doveri costitutivi dell’essere cittadino, in modo da produrre beni relazionali e capitale sociale. Un segno di civiltà dal quale nessun operatore sociale può esimersi. Come scrive Maurizio Artale nella sua presentazione: “Qualcuno potrebbe osservare: “Perché tutto questo interesse, addirittura tanto da farne una ricerca, su una problematica che coinvolge soltanto un’ottantina di bambini in tutta Italia?” La risposta giusta crediamo sia: “Per rispettare il mandato lasciatoci da Padre Puglisi”. Questa ricerca l’avremmo realizzata anche se si fosse trattato di un solo bambino………”. Certamente è un piccolo contributo, ma i passi di civiltà si fanno uno alla volta.

Maria Pia Avara
Vicepresidente del Centro di Accoglienza Padre Nostro

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