PALERMO – “Siamo soddisfatti e vogliamo continuare a renderci utili per la società”. Con queste parole Theodore, Ivan e Giuseppe, tre detenuti del carcere Pagliarelli di Palermo, manifestano il loro desiderio di continuare l’importante lavoro di bonifica del sito archeologico del rione San Pietro, in stato di abbandono da diversi anni, che li ha visti impegnati per due mesi. Da circa due mesi i tre detenuti lavorano, infatti, per portare alla luce gli scavi archeologici dell’antico sito archeologico del rione San Pietro nell’area Schiavoni che si estende per 7 chilometri. Quest’azione è inserita in un progetto più ampio denominato ‘Al Bab la Nuova Porta di Palermo’ presentato questa mattina in presenza di diverse esponenti istituzionali, e del privato sociale. Il progetto “Al Bab” rientra nelle azioni di riqualificazione ambientale, il reinserimento delle fasce sociali deboli e l’applicazione dell’art. 27 della Costituzione della Repubblica Italiana. L’iniziativa è stata promossa dal Dipartimento Regionale ai Beni Culturali ed Ambientali, con il patrocino del Comune di Palermo, la collaborazione del Centro di Accoglienza Padre Nostro onlus, l’associazione Acunamatata onlus, l’associazione Laboratori Riuniti Altrove onlus, l’associazione Immagininaria Ragazzi Onlus, Communitas Toscana S.C., Conferenza Regionale Volontariato e Giustizia della Sicilia e la fondazione Giovanni Paolo II di Fiesole e la Casa Circondariale Pagliarelli, associazione gruppo Sali. “Dopo 15 anni di abbandono, abbiamo chiesto alla Sovrintendenza ai beni culturali la possibilità di bonificare quest’area a partire dal lavoro di pubblica utilità che stanno facendo questi tre detenuti e a cui presto se ne aggiungeranno altri tre – spiega Maurizio Artale, presidente del centro Padre Nostro -. Deve essere chiaro quanto può essere importante l’utilità dei detenuti che anziché stare in cella a non fare niente operano per il bene pubblico. L’ozio in carcere non giova a nessuno né al detenuto né allo Stato. Loro danno un senso alla loro pena, si sentono accettati e in più la gente capisce quanto si sono impegnati. Il progetto è avvenuto senza alcun sostegno pubblico e speriamo di continuare magari sensibilizzando le istituzioni a darci una mano”. “Solo partendo dalle pene alternative si aiuta la persona – continua Artale -. Se oggi ogni associazione si pigliasse, secondo le sue possibilità, alcuni detenuti, immaginiamo quante opere importanti si potrebbero fare. Certamente senza fondi è difficile e il nostro sforzo è stato finora quello di reperire e utilizzare tutte le risorse disponibili. Non vogliamo che faccia notizia soltanto il detenuto che uccide ma anche tutti gli altri che in vario modo si rendono utili alla società. Occorre promuovere quindi le pene alternative con tutte le garanzie possibili per la collettività, valutando i diversi casi. I detenuti vanno sostenuti e affiancati con un a lavoro di rete tra le istituzioni e il privato sociale. Adesso vogliamo fare un accordo quadro con il sindaco per fare un piano programmatico che veda i detenuti impegnati nel recupero di alcune aree della città”. “Mi sento fortunato ad avere avuto questa possibilità – dice Thedore Middlebrook, 52 anni di origine colombiana -. In questa area abbandonata abbiamo trovato di tutto e adesso vogliamo che i cittadini ne riapprezzino il suo valore culturale. Ringrazio tutti coloro che mi hanno dato fiducia perchè questo ha fatto crescere il mio senso di responsabilità. La pena alternativa è oggi l’unica finestra sulla vita che ci fa uscire dall’incubo della reclusione e privazione della libertà”. “E’ stata finora un’esperienza che mi ha dato tanto rispetto all’ozio del carcere – dice pure Ivan Mattiolo di 26 anni -. Se soltanto i politici capissero quanto può essere importante il nostro lavoro tutto sarebbe diverso”. “Si dovrebbe procedere oggi ad una diversa concezione dell’esecuzione della pena – sottolinea Francesca Vazzana, direttrice del carcere Pagliarelli -. Il carcere non deve essere visto come l’unica possibilità ma, a secondo dei casi, occorrerebbe applicare sanzioni di tipo diverso che sono anche quelle di svolgere a titolo gratuito lavori per la pubblica utilità. In particolare, il recupero di questa area archeologica è un modo di restituire il mal tolto e di risarcire la società rispetto al danno che si è commesso. Occorre trovare le strade per sviluppare un impegno sociale dei detenuti che veda l’adesione ai principi di legalità. Il rispetto del luogo che hanno recuperato li porterà ad avere anche rispetto, una volta tornati liberi, anche della loro vita ordinaria”. “E’ la prima volta che a Palermo si realizza un rapporto di collaborazione tra diverse istituzioni e privato sociale per il recupero di un’area attraverso il lavoro all’esterno dei detenuti – afferma il sindaco Orlando -. E’ sicuramente un segnale importante rispetto ad una disattenzione nel passato per le condizioni di vita di chi è recluso in carcere. Il carcere è la città e la città è il carcere cioè dentro la città come dentro il carcere si può trovare tutto il male e tutto il bene possibile sta a noi scoprirlo e farlo emergere. Quando capiremo che chi è detenuto in carcere ha diritto al trattamento di umanità e alla speranza del reinserimento sociale vivremo in un mondo migliore possibile anche a partire da Palermo. (set)
al bab | reinserimento sociale | riqualificazione ambientale | Segnala |
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